Come Rousseau ha smontato il Movimento 5 Stelle in 311 mosse (o votazioni)
Era la piattaforma di democrazia diretta, è diventato lo strumento per stravolgere la mission dei pentastellati
14/08/2020 di Gianmichele Laino
Dal 2016 in poi, tutte le votazioni su Rousseau hanno contribuito a cambiare un po’ di più il Movimento 5 Stelle. Per carità, era l’obiettivo primario di uno strumento di democrazia diretta del genere. Ma il senso iniziale era che il M5S potesse cambiare in meglio. Invece, nel corso delle 311 votazioni che hanno caratterizzato la storia della piattaforma Rousseau, la consultazione dei cittadini iscritti è sempre servita a rendere il Movimento più simile a un partito tradizionale. Con le sue liturgie, sempre uguali anche se si chiamano con un altro nome.
LEGGI ANCHE > Rousseau approva il mandato di Raggi e l’alleanza con le altre forze politiche, ma il secondo sì è più tiepido
Tutte le votazioni su Rousseau che hanno cambiato il M5S
Oggi, il Movimento 5 Stelle ha rinunciato a due suoi presupposti delle origini e di questo si è scritto in abbondanza: via la regola del limite del doppio mandato per i cittadini eletti e via alla regola del divieto assoluto di allearsi con altri partiti. Quel Movimento che doveva correre da solo, che non aveva nulla a che fare con la vecchia politica, che non era attaccato alle poltrone, che voleva svolgere il suo compito a tempo per lasciare spazio alle forze fresche. Oggi, questi presupposti – stabiliti da Beppe Grillo e da Gianroberto Casaleggio dieci anni fa, nell’anno di fondazione del Movimento – sono caduti sotto la scure del voto di Rousseau.
La regola del doppio mandato era già stata messa a dura prova con il cosiddetto “mandato zero” valido solo per i consiglieri comunali. Il «mandato che non vale» – come aveva spiegato Luigi Di Maio presentando quella prima rivoluzione del luglio 2019 -, previsto inizialmente soltanto per quei cittadini attivi sul territorio, che magari erano stati eletti in minoranza durante la loro prima e troppo acerba esperienza di candidatura. Ma anche le alleanze, in fondo, erano già state sdoganate dal patto civico per l’Umbria, dove diventava organica l’alleanza tra Pd e M5S per cercare di contrastare (in maniera in realtà fallimentare) l’ascesa della Lega, che conquistò la regione con Donatella Tesei.
Prima ancora dell’Umbria, era stata l’alleanza con il Partito Democratico – e quindi con lo storico avversario del M5S – a livello governativo a essere messa ai voti su Rousseau: ma era un Movimento che aveva già fatto un governo con un’altra forza politica, la Lega. Esperienza traumatica anche questa.
Tutte le votazioni su Rousseau, in totale 311
Ma i voti su Rousseau che hanno stravolto il Movimento non si fermano qui: pensiamo a quelli legati al capo politico. Fu quella la prima violazione a una delle regole sacre del M5S: uno vale uno. Con l’elezione di Luigi Di Maio a capo politico nel 2017, i pentastellati individuarono per la prima volta una gestione verticistica al loro interno. Fino a quel momento, persino i capigruppo di Camera e Senato ruotavano nella loro nomina, sostituiti ogni sei mesi. Per cambiare quella consuetudine non fu necessario nemmeno il voto su Rousseau.
Le altre votazioni, invece, hanno riguardato – per la maggior parte – la compilazione delle liste nelle elezioni locali, le cosiddette regionarie, poi le parlamentarie per scegliere i candidati alle politiche del 2018. Poco usato, invece, lo strumento Lex, quello che doveva servire alla base per proporre dei disegni di legge da portare all’attenzione dei propri rappresentanti. La piattaforma è stata utilizzata anche per sancire le espulsioni dal gruppo o per nominare il cosiddetto Team del Futuro (un’altra cosa molto simile a un congresso di partito, che però ha un altro nome e quindi va bene). Le 5 Stelle del Movimento erano Acqua Pubblica, Ambiente, Connettività, Trasporti e Sviluppo. Ma si accompagnavano anche a democrazia diretta, uno vale uno, mai insieme agli altri e mai attaccati alle poltrone. Cosa resta?