«La Roma non ai romani». Cosa resta del primo giorno dei ‘SenzaTotti’
17/06/2019 di Enzo Boldi
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Papa Francesco Totti da Porta Metronia. Il titolo di pontefice se l’è guadagnato con la sua conferenza stampa in cui ha detto le cose in mondo ‘papale papale’. Ed è così che l’ex Capitano della Roma – e ora anche ex dirigente del club giallorosso – ha dato il suo addio alla società che ha rappresentato per 30 lunghi anni. Prima da calciatore, con il numero 10 sulle spalle; poi da ectoplasma sulla tribuna dello Stadio Olimpico e di tutti gli altri impianti d’Italia. Ed è proprio questo suo essere così ‘indefinito e indefinibile’ ad averlo condotto verso la decisione: dire basta. Un arrivederci, del doman non v’è certezza, amaro come solo le lacrime possono essere.
E il pianto è quello di molti tifosi della Roma, che da oggi sono ufficialmente i SenzaTotti. Il pianto è anche il suo con quell’ammissione dalla poltrona del Salone d’Onore del Coni: «Questo è ancora più duro dell’addio al calcio. È come staccarsi dalla mamma. Avrei preferito morire». Una morte, lenta, imprevedibile. Così Francesco Totti ha tirato fuori tutta la sua romanità puntando il dito – anche se più volte ha sottolineato di non avercela con nessuno, ma non ci credeva neanche lui – contro due personaggi: un tycoon presidente e un’eminenza grigia (e non solo per il colore dei suoi capelli).
Totti e i SenzaTotti
Il primo, James Pallotta (che nelle comunicazioni con in tifosi si firma con un confidenziale, quanto inconcludente, Jim) reo di aver parlato con Francesco Totti solamente in un’occasione: erano i giorni dopo il suo ritiro dal calcio giocato – anche su questo capitolo l’ex Capitano ha dato le colpe alla dirigenza – quando si incontrarono a Londra (insieme alla moglie Ilary e ai suoi tre figli). Il secondo, Franco Baldini, ex dirigente della Roma scudettata di Franco Sensi (stagione 2000/2001) e ora consigliere esterno del patron bostoniano.
La deromanizzazione baldiniana
L’accusa più grande è rivolta proprio a lui. Si è parlato in passato di ‘Detottizzazione’, poi si è proseguito con la ‘deromanizzazione’. Il tutto è culminato con l’addio forzato (con un contratto non rinnovato) a quel Daniele De Rossi, erede naturale – non per carisma, ma per mera allegoria – di quella storicità tutta giallorossa fatta di capitani capitolini che hanno legato il loro nome alla storia della Roma. Poche vittorie, quasi nulla facendo un parallelo con quanto vinto dalla Juventus o da altre -, ma quell’identità tramandata di generazione calcistica in generazione. Totti ha parlato chiaro: a qualcuno – ergo, Franco Baldini – i romani non vanno a genio. Florenzi e Lorenzo Pellegrini possono già iniziare a tremare. L’anti-salvinismo (l’Italia agli italiani, Roma ai romani e le altre versioni buone per ogni occasione) nel calcio non funziona, perché è l’unica cosa romantica che continua a esistere. Nonostante tutto. Nonostante i soldi.
(foto di copertina: ANSA/ ALESSANDRO DI MEO)