Viaggio a Torre Maura: «Ci dicono che siamo razzisti? Chissenefrega» | VIDEO
03/04/2019 di Enzo Boldi
Quando si arriva a non rinnegare l’etichetta ‘razzista’ e, anzi, a portarla sul petto quasi fosse una medaglia vuol dire che il sistema politico e sociale di uno Stato è arrivato al punto di rottura. Quel momento in cui ciascuno si sente libero di dire e fare quello che vuole perché si sente esausto e stanco. E, come spesso capita, invece di prendersela con chi ha creato una situazione di malcontento che va oltre il singolo episodio contestato (che è solo la famosa goccia che ha fatto traboccare il vaso) l’odio viene riversato contro chi – volenti o nolenti – sta solamente riscuotendo un qualcosa che è di suo diritto. La storia di Torre Maura, il quartiere della periferia Est di Roma, è quanto di più emblematico possano regalare le pagine di cronaca sociale dell’epoca in cui viviamo.
Quelle famiglie di etnia rom, che sono entrate negli alloggi popolari di via Codirossoni, non sono lì perché hanno occupato un qualcosa che non spettava loro, ma perché le graduatorie dei bandi pubblici del Comune di Roma li ha visti in testa. Ma tutto ciò non riesce a far vacillare l’ideale di molti dei manifestanti del quartiere Torre Maura, accompagnati anche da alcuni esponenti di CasaPound che, tra le tante cose, dovrebbero ben conoscere la differenza tra uno stabile occupato e una casa popolare assegnata per diritto.
Torre Maura e l’ostentazione del razzismo sintomo della sconfitta dello Stato
Ma nel nostro viaggio a Torre Maura abbiamo incontrato solamente odio di quei cittadini che sono esasperati e il più piccolo cerino ha fatto scoppiare una protesta iniziata con i panini calpestati di martedì sera fino ad arrivare agli insulti razzisti di cui non v’è vergogna. Nelle voci raccolte tra la gente del posto c’è la sconfitta dello Stato che non ha saputo fornire ai cittadini quei valori necessari per la convivenza e si è perso fomentando i mal di pancia di cui le continue campagne elettorali fanno finta di esserne il medicinale. Dire «ci chiamano razzisti? Chissenefrega» è il punto di non ritorno.
(video e foto di copertina: FRANCESCO COLLINA / GIORNALETTISMO)