E se su Tinder trovassi uno sportello di ascolto invece del rapporto occasionale?

Cosa fareste se, scorrendo su Tinder, intercettaste il profilo di qualcuno che dice di essere uno sportello di ascolto?

21/06/2021 di Ilaria Roncone

Beatrice Cristalli, linguista e autrice, ha deciso di condurre un esperimento sociale durante la pandemia, ovvero creare un profilo Tinder appositamente dedicato all’ascolto degli utenti della piattaforma. «Questo progetto è nato durante una cena, stavo parlando con alcuni amici giornalisti e ci siamo chiesti quali fossero stati i mutamenti sociali più eclatanti che avevano trasformato le nostre vite durante il periodo della pandemia. Anche a livello quantitativo le testate continuavano a riproporre articoli in merito al disagio avvertito da tutti noi, rinchiusi in casa, e molte aziende avevano iniziato ad aprire degli sportelli psicologici gratuiti per i dipendenti e non solo». Il supporto psicologico ha assunto una valenza sempre più rilevante ed è sempre meno un tabù, insomma, e da qui è nata l’idea. «Durante la pandemia le relazioni le abbiamo mantenute grazie alle app di dating e, più in generale, a quelle con chat. Anche oggi Instagram è un po’ il Tinder delle piattaforme social».

Tra le tante piattaforme Beatrice ha scelto Tinder per l’ampio bacino di utenza e anche per il cambiamento della percezione degli italiani che ha riguardato questa app: «Se all’estero Tinder è sempre stato percepito come una piattaforma per conoscere gente in senso generico, non per forza legata al bisogno di avere relazioni occasionali, questo in Italia accade solo da qualche anno».

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«Su Tinder ho potuto parlare solo con maschi»

L’esperimento condotto da Beatrice è durato poco più di un paio di mesi, da fine novembre a metà febbraio. A farne parte sono stati giovani tra i 20 e i 35 anni, generazione Z e millennials. «Ho notato una maggiore frequentazione del social – spiega Beatrice ai microfoni di Giornalettismo – a novembre e dicembre. A gennaio e febbraio c’è stata una riduzione di contatti». Solo maschi, comunque, perché nonostante Cristalli matchasse donne le donne non matchavano lei. «Non ce n’è una che mi abbia ricambiato il match, non sono riuscita a parlare con una donna. Suppongo perché le donne sono più attente. Purtroppo, per questo, non ho un riferimento che riguarda le donne».

«L’atteggiamento più comune nell’approccio era l’ironia, frasi come: “Immagino tu abbia un grandissimo lavoro da fare, qui è pieno di casi umani”. Dopo, però, quasi tutti quelli con cui ho parlato di più hanno capito che era una cosa serie e hanno iniziato ad aprirsi. Questo mi ha stupito perché, tra l’altro, il mio profilo era assolutamente fake. Avevo un quadro che avevo scelto apposta, che avrei visto bene in uno studio di psicanalisi, due amanti che si baciavano però uno sembrava rifuggire»

«Quasi sempre erano loro a contattare me, io raramente. Il modo in cui l’ho impostata, lo scrivere solo “Sportello piscologico” nella descrizione, poteva sembrare ambiguo, ironico oppure serio, e proprio questo ha attirato la loro attenzione. Inizialmente Tinder mi ha messo automaticamente un raggio di 40 km, quindi diciamo che ho parlato con persone di Milano e dell’hinterland. Una volta che mi sono resa conto che potevo allargare il bacino ho scelto tutto il territorio nazionale, quindi ho parlato anche con ragazzi di Roma».

Sui social si tende ad abusare di termini legati al linguaggio clinico

«Ho notato che, dal punto di vista lessicale, le persone per le quali risultavo una confidente mi parlavano di problemi relazionali utilizzando dei termini legati al linguaggio clinico: narcisismo, bordeline, psicopatico, tossico. Relazione tossica è un’espressione che viene utilizzata tantissimo anche tra i giovanissimi, sui social e sulle piattaforme, in modo improprio. Relazione tossica è qualcosa che viene associato a un rapporto tira e molla, con tradimenti, ma per relazione tossica si intende una dipendenza affettiva, una manipolazione. Mi ha molto colpito quanto termini come questi vengano utilizzati con leggerezza, anche per offendere online. Sui social spesso e volentieri di veicola lo stigma online che, se non viene colto, fa pensare di poter diagnosticare delle patologie attraverso uno schermo. Ho visto una generale leggerezza su come si etichettano persone e relazioni».

Ci sono però anche persone che adoperano un linguaggio clinico psicologico in maniera consapevole: «Ci sono state persone che sapevano che non ero una psicologa, io stessa lo specificavo dicendo che era un esperimento sociale, a cui dicevo che se volevano parlarmi di qualcosa avrei potuto dar loro supporto. Loro utilizzavano termini molto tecnici e da lì ho notato un lessico specializzato e un uso proprio. Altre persone parlavano in maniera filosofica, adoperando un linguaggio di questo tipo. In molti hanno utilizzato la parola noia e ho cercato di scavare: le ragioni erano che non ci si poteva muovere o fare cose, l’assenza di stimoli».

Raccontare i propri problemi a qualcuno che non ha un’identità visibile

In molti hanno affermato di riuscire meglio a parlare con qualcuno che più che un essere umano sembra un bot, considerato che si trattava di un profilo che non aveva nemmeno un volto. «Ho chiesto: perché non senti il bisogno di visualizzare il tuo interlocutore? – ci spiega Beatrice – e la risposta è stata “mi sento meno giudicato e meno sotto pressione, così è più facile esternare disagi e debolezze».

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