TikTok ha ammesso di non essersi mosso abbastanza rapidamente in Myanmar

TikTok Myanmar banna contenuti violenti troppo tardi così come fece Facebook nel 2010, in ritardo sulla moderazione dell'incitamento all'odio contro la minoranza Rohingya

21/03/2021 di Ilaria Roncone

Le proteste in Myanmar sono cominciate il giorno del colpo di stato, 1° febbraio 2021, e continuano ad andare avanti. Stando ai numeri che riporta Reuters sono più di 200 le persone uccise nel paese dall’inizio delle proteste e tutti ti social network sono stati usati e sono ancora sfruttati per influenzare gli scenari: tra disinformazione, fake news e diffusione di contenuti violenti, ogni social è stato sfruttato in qualche modo dai militari e dagli oppressori anche solo per fare sfoggio di forza e violenza. Quest’ultimo caso riguarda TikTok Myanamar, che ha ammesso di essersi mosso tardi per censurare una serie di account che diffondevano video violenti e contribuivano alla disinformazione.

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TikTok e i ritardi nel bannare i militari in Myanmar

Il portale Rest of World ha spiegato come i soldati che stanno sopprimendo le rivolte in Myanmar abbiano pubblicato centinaia di video su TikTok: propaganda filogovernativa, disinformazione che mira a confondere i manifestanti, minacce dei soldati armati nei confronti dei cittadini. Come riporta il portale, TikTok ha ammesso di non essersi mosso con una rapidità sufficiente per fermare la diffusione di video – che sono stati visti e cuoricinati decine di migliaia di volte -. Un portavoce dell’azienda contattato da The Verge ha affermato che «quando abbiamo identificato la rapida escalation della situazione in Myanmar, abbiamo rapidamente ampliato le nostre risorse dedicate e intensificato ulteriormente gli sforzi per rimuovere i contenuti violativi». Il risultato è che «numerosi account e dispositivi che abbiamo identificato promuovendo contenuti pericolosi su larga scala» sono stati «banditi in maniera aggressiva».

TikTok Myanmar non ha imparato da Facebook

TikTok garantisce, a questo punto, che «continuerà a fare investimenti significativi per rispondere alle nuove minacce al fine di mantenere TikTok in Myanmar una piattaforma sicura»; attivisti e difensori hanno però sottolineato come questo utilizzo di un social per fare propaganda filogovernativa nel paese era già stato esercitato dai militari. Serve tornare indietro di undici anni, nel 2010, quando Facebook veniva utilizzato dall’esercito per alimentare la violenza e l’odio nei confronti della minoranza Rohingya del paese.

Nel 2018 alcuni esperti delle Nazioni Unite hanno anche sentenziato, in merito alla questione Facebook-Rohingya, che quell’incitamento all’odio incontrollato e non regolato aveva contribuito al genocidio della minoranza. Facebook all’epoca aveva troppi pochi moderatori che per la Birmania e questo fu il risultato. Undici anni dopo e con questo tipo di storie alle spalle l’azione di chi gestisce le piattaforme social in questi teatri di guerra deve essere più tempestiva e efficace.

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