Dire che l’attacco hacker al Lazio è terrorismo significa alleggerirsi dalle proprie responsabilità

Le parole del governatore del Lazio Nicola Zingaretti sono state riprese da buona parte della stampa nazionale

03/08/2021 di Gianmichele Laino

Le parole del presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, nella giornata di ieri, hanno avuto accenti fortissimi mentre parlava dell’attacco hacker che – in queste ore – tiene sotto scacco i sistemi informatici della regione, tutto il Centro Elaborazione Dati, e contribuisce a creare non pochi problemi alla campagna vaccinale (se non a breve termine, almeno a medio termine, dopo il 15 agosto, quando diminuiranno sensibilmente le prenotazioni già effettuate per la somministrazione delle dosi di vaccino). Il presidente del Lazio ha affermato: «Stiamo difendendo in queste ore la nostra comunità da questi attacchi di stampo terroristico. Il Lazio è vittima di un’offensiva criminosa, la più grave mai avvenuta sul nostro territorio nazionale».

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Terrorismo e attacco hacker al Lazio, come stanno le cose

Va da sé che le parole di Zingaretti siano state riprese dalle maggiori testate nazionali, che hanno dato molta enfasi – soprattutto per meglio attirare i propri lettori – alla parola terrorismo, mettendola in primo piano:

In realtà, parlare esplicitamente di un attacco terroristico significa, in qualche modo, emarginare le responsabilità della struttura tecnica della Regione Lazio che, come tante pubbliche amministrazioni periferiche, tende a far passare in secondo piano la sicurezza informatica. Come se fosse un affare da nerd. Quello che stiamo vedendo in queste ore, invece, rappresenta un problema molto serio, che mette a rischio i dati personali sensibili di 5,8 milioni di cittadini.

Tutte le fonti che abbiamo consultato in queste ore, ci hanno detto la stessa cosa: bisogna evitare sensazionalismi ed esagerazioni. Ieri, il professor Stefano Zanero ci ha detto che «l’attacco hacker Lazio è con un ransomware, che cifra i dati per chiedere un riscatto. Se qualcuno lo facesse per un motivo politico non chiederebbe un riscatto ma fornirebbe un messaggio. Non cifrerebbe nemmeno i dati. La scelta di farlo è per vendere la chiave per decifrarli». Dunque si punta al bottino, attraverso una preda facile e vulnerabile. Altro che terrorismo, mosso quasi sempre da motivazioni ideologiche che, almeno in queste ore, non stanno emergendo.

Il problema sta nella gestione della sicurezza informatica, dunque. È capitato al Lazio, ma sarebbe potuto succedere a chiunque. L’aggiornamento dei sistemi di tutela diventa fondamentale, impossibile non prenderne atto oggi. Anche se la sfida al cyber-crime (che sicuramente è a un livello inferiore rispetto al terrorismo) rappresenta un elemento complesso, dal momento che è costantemente in fase di aggiornamento, sfrutta tecniche sempre più sofisticate, supera sempre se stessa con delle innovazioni, occorre che le pubbliche amministrazioni siano all’altezza. Nel frattempo, si potrebbe essere almeno più chiari nella comunicazione del problema.

Foto IPP/Gioia Botteghi – Roma

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