Covid e superdiffusori: «Solo l’8% dei pazienti è risultato collegato al 60% delle nuove infezioni»

Questo il frutto di una ricerca che studia il ruolo dei superdiffusori nella pandemia da coronavirus

02/10/2020 di Ilaria Roncone

Si tratta del più grande studio di tracciamento mai effettuato finora ed è stato fatto in India su oltre mezzo milione di persone esposte al Covid. Il frutto di questa ricerca sui superdiffusori coronavirus è stato pubblicato su Science ed è chiaro, a giocare un ruolo fondamentale nella diffusione del coronavirus sono proprio loro: «Siamo stati molto sorpresi nello scoprire che solo l’8% dei pazienti indice – il primo paziente in una catena di trasmissione – sono stati responsabili del 60% delle infezioni secondarie. Si sospettava l’esistenza della superdiffusione, ma non in queste proporzioni».

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Superdiffusori coronavirus e il loro ruolo fondamentale

La maggior parte dei pazienti che contrae il Covid-19 non infetta nessun altro. Questa è la conclusione del maxi studio effettuato in due stati a Sud dell’India, Andhra Pradesh e Tamil Nadu, che insieme contano circa 128 milioni di abitanti. Entrambi sono tra i cinque stati indiani con il maggior numero di casi di Covid accertati. Ciò non vuol dire che mascherine e distanziamento sociale non servano, anzi; per prevenire il contagio da parte dei superdiffusori sarebbe bene evitare situazioni e attività con maggiore diffusione di goccioline infette come il canto o l’attività fisica intensa. Rimane confermato che la diffusione maggiore avviene all’interno delle famiglie ed è emerso che la maggior parte delle persone contagiate sono maggiormente comprese in una fascia d’età che va dai 10 ai 45 anni: solo nel 2,6% dei casi chi di contagia lo fa nelle comunità e – sempre stando allo studio – il 9% contrae il Covid per via dei contatti con i familiari.

I bambini si infettano anche tra coetanei

Lo studio ha approfondito anche la questione coronavirus e bambini. Il risultato è che il virus può infettare bambini di tutte le età, che possono contagiarsi tra coetanei. Il tema è molto dibattuto nelle comunità scientifiche di tutto il mondo «ma nel nostro studio – ha commentato Ramanan Laxminarayan del Center for Disease Dynamics, principale autore del lavoro – abbiamo visto un’elevata prevalenza di infezione tra i bambini che sono venuti a contatto con altri ragazzini infetti della loro età. E questo anche se le scuole erano state chiuse a marzo».

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