«SPID e Cie potranno essere integrati, ma è impossibile un futuro senza identità digitale»

Alessandro Ranellucci è stato membro della task force incaricata di guidare la trasformazione digitale del settore pubblico

23/12/2022 di Gianmichele Laino

Le parole del sottosegretario Alessio Butti su SPID e Cie – oltre ad aprire un fronte di dibattito sull’impossibilità di rinunciare, ormai all’identità digitale – hanno comunque fatto riflettere sulla compresenza di due sistemi di autenticazione. Se, da un lato, la difesa a spada tratta dello SPID viene portata avanti in ragione di numeri e di dati statistici (nel 2022, ad esempio, i processi di autenticazione con SPID sono stati oltre 950 milioni, rispetto ai 19 milioni dei processi con Cie), dall’altro c’è uno spazio di riflessione che riguarda il ruolo dei privati nello SPID e quello che potrebbe fare, invece, lo Stato per quanto riguarda l’identificazione digitale dei cittadini. Per questo, ci è parso interessante il punto di vista espresso da Alessandro Ranellucci. Su Twitter, il suo thread sul dibattito SPID-Cie ha presentato l’argomento sotto una veste inedita. Ranellucci, nel 2017, è stato nominato dal presidente del Consiglio (governo Gentiloni) membro della task force di 35 persone incaricate di guidare la trasformazione digitale del settore pubblico sotto la guida di Diego Piacentini. Nel 2020 ha supportato il CTO nelle attività di coordinamento del dipartimento per la Transizione Digitale, con l’obiettivo di individuare strategie, appunto, per la digitalizzazione del settore pubblico. Inevitabile, dunque, che abbia accumulato un notevole bagaglio di esperienza sia sull’evoluzione dell’annosa questione SPID-Cie, sia per quanto riguarda le possibili soluzioni che, in futuro, occorrerà trovare per rendere dialoganti questi due sistemi.

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SPID-Cie, la questione analizzata dal punto di vista di Alessandro Ranellucci

Innanzitutto, abbiamo cercato di capire con Alessandro Ranellucci qual è stato il percorso che ha portato la Pubblica Amministrazione a giocare parallelamente le partite dello Spid e della Carta d’identità elettronica, sistemi di autenticazione che si basano su pilastri diversi e che hanno avuto anche destini differenti. «Fino a una certa fase – spiega Ranellucci a Giornalettismo – non nascondo che ci sia stato un atteggiamento prudenziale: si trattava di strumenti sperimentali e quindi si preferiva tenersi aperte due soluzioni conviventi, nel caso una delle due non funzionasse. Sembra un po’ sempliciotta, detta così. Ma negli anni in cui SPID stava prendendo piede in Italia, era successo, in altri Paesi del mondo, che l’unico sistema di identificazione digitale avesse avuto problemi di sicurezza tali da doverlo interrompere su scala nazionale. Il tempo è passato e le soluzioni, ora, sono più mature. Ma c’è un discorso di inerzia istituzionale: ci sono ownership politiche diverse. Carta d’identità elettronica è del Ministero dell’Interno e dell’Istituto Poligrafico – Zecca dello Stato. Si tratta di due soggetti molto forti e di un certo peso istituzionale. SPID, invece, è Agenzia per l’Italia digitale e questa geografia interna dell’amministrazione un po’ conta quando entrano in gioco funzioni e finanziamenti».

Nonostante la differente “geografia amministrativa”, lo SPID ha sopravanzato, nell’utilizzo comune, la Carta d’identità elettronica. Ci sono state, infatti, delle situazioni oggettive che hanno contribuito alla diversa evoluzione dei due strumenti: «Ci sono due motivi – ha spiegato Ranellucci -: in primo luogo, il rilascio della Carta d’identità elettronica è soggetto ai tempi di rinnovo delle carte d’identità che, come sappiamo, durano 10 anni; in secondo luogo, ci si è accorti un pochino dopo, rispetto a quanto fatto con SPID, del fatto che la carta d’identità elettronica potesse essere utilizzata anche per accedere ai servizi online».

Su questo specifico aspetto, il team digitale di cui Ranellucci ha fatto parte ha avuto un ruolo fondamentale per rendere moderno e agile il modello di Cie: «Come team digitale, siamo stati noi a inventarci il fatto di poter impiegare la carta d’identità elettronica con il cellulare. Inizialmente, la carta d’identità elettronica era stata pensata per essere attivata attraverso un lettore USB da collegare al computer: questa cosa, però, era percepita come uno strumento per tecnici, per uffici, per burocrati. Il cittadino non poteva farlo. Per questo ci siamo inventati l’utilizzo attraverso il cellulare: è stato sposato in pieno dal Poligrafico – Zecca dello Stato e dal ministero dell’Interno e ha reso possibile l’utilizzo della CIE esattamente come per lo SPID. Quando i comuni e gli enti si sono convinti a utilizzare SPID – e si è investito molto tempo per convincerli -, il processo si era già avviato. CIE è arrivata dopo e allora non è stato opportuno, dal punto di vista politico, tornare dai comuni e dagli enti e dire: “sapete cosa c’è? Adesso dovete integrare anche CIE”. È stato un discorso di moral suasion degli enti: non basta scrivere una norma per cambiare le cose».

Ora, però, c’è un tema. SPID si basa su identity providers privati, CIE – invece – è uno strumento tutto interno allo Stato. Ranellucci è convinto che ci possa essere una evoluzione per centralizzare e uniformare l’esperienza dell’utente. Del resto, le parole del sottosegretario Alessio Butti non arrivano all’improvviso: c’è un’ampia letteratura, negli ambienti della politica italiana, che riguarda chi – negli ultimi anni – ha cercato di proporre un percorso comune per SPID e Cie.

Il possibile percorso di unificazione SPID-Cie

«Si tratta di uno scenario ipotizzato tante volte – spiega Ranellucci a Giornalettismo -. Visto che il rilascio della Carta d’identità presuppone comunque il riconoscimento della persona, si è pensato di evitare che questo processo potesse avvenire una seconda volta per lo SPID, magari dopo una lunga fila all’ufficio postale o presso un altro identity provider. Sicuramente è anche una questione di percezione, visto che così lo strumento sarebbe unico. Inoltre, cambiare il ruolo dei gestori privati permette di avere un maggiore controllo sull’esperienza utente e sulla gestione del sistema. I privati, oggi, stanno sicuramente facendo un gran lavoro: sono in perdita totale sul fronte SPID e nonostante questo investono molto per migliorarlo. Sicuramente, grazie a questo, SPID è un sistema in salute. Tuttavia, centralmente è impossibile fare una evoluzione, perché dipende tutto da questioni di buona volontà: magari, se si tratta di fare un passo in più, i privati lo fanno solo per la maggioranza dei propri utenti, lasciando più indietro i casi minori. Invece, lo Stato dovrebbe tutelare e garantire anche i casi piccoli. Dunque, il fatto di avere una governance centrale sul sistema dell’identità digitale – ammesso che le cose siano fatte per bene – potrebbe permettere di decidere miglioramenti e implementazioni dello strumento, senza per forza dover puntare tutto sui privati, ma contando sulle forze dello Stato. Il ruolo dei privati potrebbe cambiare e potrebbero diventare degli agenti di riconoscimento. Penso al riconoscimento via webcam: se non voglio andare all’anagrafe, posso pagare un privato per farmi fare il riconoscimento in remoto. A quel punto, anche gli attuali identity provider potranno avere un business model».

Una questione di opportunità, dunque. Che non significa spegnere lo SPID, ma – al contrario – migliorare il percorso verso un’unica identità digitale. «A me sembra che le parole del sottosegretario vadano in questa direzione: e credo sia ben consapevole che non si possa spegnere SPID dall’oggi al domani come, invece, ho letto sui giornali. Questo implica la transizione verso un modello ibrido, in cui mettiamo insieme il meglio della CIE e il meglio di SPID. Un futuro senza identità digitale non è possibile, innanzitutto perché abbiamo fatto spegnere qualsiasi tipo di altra identificazione, poi perché i servizi online oggi si sono moltiplicati e non si può pensare di registrarsi sempre dall’inizio per beneficiare di bonus, per iscrivere i figli a scuola, per interagire con il Comune, con l’Asl, con l’Agenzia delle Entrate. Sarebbe un costo incredibile pensare che ogni singolo ente si gestisca in casa l’autenticazione degli utenti».

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