Trois Jours et Une Vie, recensione: un noir sul senso di colpa

24/10/2019 di Redazione

Trois Jours et Une Vie, presentato alla 14ª Festa del Cinema di Roma, racconta la vita di un bambino colpevole di un crimine che lo condizionerà per sempre.

Tre giorni che cambiano la vita

Il film Trois Jours et Une Vie, di Nicolas Boukhrief, presentato alla 14ª Festa del Cinema di Roma è ambientato in un paesino minerario durante il giorno di Natale. Al confine tra Francia e Belgio, in un giorno come tanti, un bambino scompare misteriosamente. Non verrà mai ritrovato. Un ragazzino più grande, suo amico, Antoine (Jeremy SenzezPablo Pauly), è l’unico a sapere il perché della sparizione. L’unico che potrebbe far luce su un mistero che ha segnato la cittadina e i suoi abitanti. In un’atmosfera rurale e forestale, i segreti e il dolore vanno di pari passo verso una spiegazione più semplice di quello che sembra.

Primo atto perfetto

Un ottimo inizio stravolge la vita dell’undicenne Antoine, timido e sensibile che, per un piccolo sbaglio e una delusione infantile, compie un gesto imperdonabile. E la paura di essere scoperto diventa l’unica cosa che conta per lui. La morte e il senso di colpa sembrano essere sempre in agguato dietro l’angolo per rientrare nella sua vita. La difficoltà e la sofferenza che un bambino così giovane deve provare, presupposto interessante del film, viene però trattato solo per la prima parte.

Trois Jours et Une Vie - Margot Bancilhon, Charles Berling e Pablo Pauly
Margot Bancilhon, Charles Berling e Pablo Pauly in una scena del film

Una struttura troppo diluita nel tempo

Attraverso un’ellissi temporale l’Antoine che si ritrova a metà del film è un ragazzo di ventotto anni, fuggito come la maggior parte delle persone, da quel paesino pieno di fantasmi del passato. Dove tutto è rimasto uguale, circondato da quell’atmosfera cupa e fredda di quindici anni prima. E dove nessuno ha pagato per il crimine commesso. Anzi, nessun corpo è stato trovato. Antoine ha una vita lontano e, anche ciò che ha fatto, sembra essere così lontano da non occupare più i suoi pensieri.

Una personalità complessa

Gli elementi per confessare e costituirsi ci sono, ma Antoine non ci riesce, tanto che viene da chiedersi se riuscirà mai a farlo. Tra amori perduti, consapevolezze e traumi superati, Trois Jours et Une Vie coinvolge e tiene viva l’attenzione, anche se delude leggermente sul finale. Il messaggio è chiaro, perché, in modo diverso e forse non eccessivamente drammatico, la vita di Antoine sarà davvero segnata per sempre. E ogni sua scelta condizionata da quell’azione che avrebbe potuto evitare. Un qualcosa che non avrebbe mai voluto fare. Ma era solo un bambino arrabbiato con il mondo.

Trois Jours et Une Vie

L’ambientazione che funziona

Le location, il paesino dove i visi e le persone sono sempre le stesse, dove essere colpevole per qualcuno significherebbe esserlo per tutti, sono funzionali al racconto. Un luogo chiuso, piccolo, avvolto dalla nebbia e dai boschi dove migliaia di segreti, incontri, e non solo, possono essere sepolti. Una cittadina lontana dal mondo dove sembra non battere mai il sole. La fotografia è infatti caratterizzata da colori spenti e grigi, da tinte fredde, opache e scure. Come la stessa regia, con inquadrature dall’alto che riprendono i pini di una tetra foresta che circonda la vita del centro abitato. Fuori dal tempo e dallo spazio.

Crescere e dimenticare?

L’interpretazione degli attori è equilibrata e, per quanto riguarda i bambini della prima metà del film, sorprendente. Trois Jours et Une Vie, forte di una trama tipica del mistery e del thriller, punta eccessivamente sul sensazionale. Su colpi di scena riguardo a situazioni prevedibili. Che non c’è bisogno di spiegare, rendendo a volte il film troppo didascalico. Forse per il tentativo di dare spessore ai personaggi secondari e per non dare al film un unico genere. Che si rivela comunque quello più riuscito. Volto a simboleggiare quel paesino come un luogo maledetto, la tranquillità e la vita di Antoine sarà messa spesso a dura prova. E forse non c’è la certezza che il suo segreto rimanga al sicuro.

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