The Brink – Sull’orlo dell’abisso: Recensione, Steve Bannon Docet
28/04/2019 di Redazione
The Brink – Sull’orlo dell’abisso. Quando Steve Bannon lasciò la sua posizione di capo stratega della Casa Bianca, appena una settimana dopo lo “Unite the Right Rally” (la manifestazione organizzata dai suprematisti bianchi nell’agosto 2017, l’evento che portò ai disordini di Charlottesville), era già una figura ben nota, facente parte della cerchia ristretta di Donald Trump, apportatore di un’ideologia di estrema destra nelle più alte sfere della politica americana. Non vincolato da nessun un incarico ufficiale – anche se alcuni dicono che abbia ancora una linea diretta con la Casa Bianca – si è sentito libero di utilizzare la sua influenza per trasformare il suo controverso movimento nazionalista in un movimento globale. Il film The Brink segue Bannon, passo passo, durante le elezioni di medio termine del 2018 negli Stati Uniti e fa luce sui suoi sforzi per mobilitare e unificare i partiti di estrema destra, al fine di fargli ottenere più seggi possibili nelle prossime elezioni europee che si terranno il 22 Maggio. Per conservare il suo potere e la sua influenza, l’ex banchiere di Goldman Sachs nonché un forte investitore nel settore dei media (è stato fondatore della società Bannon & Company e ex-direttore di Breitbart News), reinventa così se stesso per l’ennesima volta: in questa circostanza come leader autonominato di un movimento populista globale. Manipolatore acuto della stampa e formidabile promotore di sè stesso, Bannon continua a riempire le pagine dei giornali e scatena proteste ovunque vada, alimentando il potente mito su cui si basa la sua immagine e sopravvivenza.
Tutto quello che avreste voluto sapere su Steve Bannon
La lunga sinossi è stata necessaria per chi (ma sono pochi) non conosce ancora il controverso personaggio protagonista di questo bel documentario realizzato da Alyson Klayman, un giovane regista di New York, che si è vista domandare dalla sua produttrice, un’amica di vecchia data di Bannon, Marie Therese Guirgis, di realizzare questo documentario con il consenso dello stesso Steve Bannon.
Il paradosso è che entrambe le donne, regista e produttrice, sono tutt’altro entusiaste dell’elezione di Donald Trump, avvenuta proprio anche grazie alle accorte strategie di Bannon. Il risultato complessivo di questo imperdibile documentario è quello di portarci dentro la vita di una persona, vista da molti come una sorta di Fahrenheit 11/9 ) e la stessa Klayman sembra a tratti trasformarsi in una novella Leni Riefenstahl , la regista dei più noti film della propaganda del III Reich, nel suo lavoro di descrizione in modo totalmente imparziale e a tratti diremo perfino simpatico e umano, lo stratega Bannon.
Un documentario imperdibile per i nostri spettatori perché nel lungo viaggio on the road di Bannon in giro per l’Europa lo troveremo a diretto contatto con i nostri politici da Salvini a Giorgia Meloni (con un pezzo da antologia durante l’intervista da parte di un giornalista del The Guardian).
Tornando all’ambito cinematografico e in particolare quello del documentario, l’opera della Klayman è perfetta e non per nulla il richiamo alla leggendaria Riefenstahl è solo per sottolineare la sua bravura nel mantenere un perfetto equilibrio, specie nel lungo montaggio che è seguito dopo aver accumulato ore e ore di girato
Un suprematista bianco?
Quello che esce fuori è tutt’altro che un suprematista bianco cacciato bruscamente da Trump, anzi Bannon è stato ben felice di andarsene dalla Casa Bianca in particolare da quella West Wing, l’ala ovest dove l’aria a suo dire era irrespirabile. Quello che forse più interessa agli spettatori, e anche a chi vi scrive questa recensione, era in realtà scoprire chi davvero si cela dietro questo abile stratega, che cerca disperatamente di dimagrire durante il documentario, confessando di sentirsi come Jabba The Hutt, quando guardando le foto della campagna elettorale per Trump afferma:”devo perdere 16 chili“. Ma a giudicare dalla dieta che non segue alla lettera, come la stessa Klayman ci ha raccontato nella nostra intervista, veniamo a sapere che dovrà forse passare più tempo dal medico che a fare comizi.
Ed è questo l’aspetto più interessante del documentario, umanizzare quello che viene definito da tutta la stampa come un guru controverso e abilissimo, “un Goebbels del ventunesimo secolo”, dove tutti i leader di destra e populisti si sono rivolti a lui come la nuova speranza, ma che in realtà dice le cose che dicono tutte le brave persone nel mondo. Persone che magari hanno un simpatico vicino nero o musulmano, con il quale intrattengono ottimi rapporti, o adorano il loro pizzaiolo egiziano, ma al tempo stesso non vogliono i migranti, gli ebrei hanno troppi soldi, i neri sono pericolosi perché sono neri, i marocchini ricordati cosa hanno fatto in ciociaria durante la guerra ! Tutto qui, Bannon non ha fatto altro che parlare alla pancia dell’America, e sta facendo la stessa cosa in Europa: la Klayman ce lo mostra in modo disarmante, attraverso le sue stesse parole, e ci mostra anche come Bannon sia un avido lettore di libri di storia dai quali riceve i giusti insegnamenti.
Ma allora molti si chiederanno, ma non è un razzista, non è antisemita (cosa un pò difficile questa da affermare visto l’appoggio tout court che riceve Israele da Trump), non è un suprematista bianco, perchè è bianco? Non è contro i mussulmani, che in fin dei conti continuano ad far saltarsi per aria per ammazzare turisti, anche se poi ci mettiamo a provocarli con il contributo di altri matti come quello della Nuova Zelanda.
Il vero volto di Bannon
La realtà è molto differente, e probabilmente questo documentario finirà davvero nel motore di ricerca alla voce Bannon ad iniziare dalla libreria del Congresso, come il miglior biopic mai realizzato sulla sua figura, per aiutare uno studente in un lontano futuro a raccontare la storia del perché Donald Trump è stato eletto.
L’aspetto che ci dipinge in modo fin troppo inquietante la Klayman, ci riporta che Bannon è fortemente appoggiato da molti miliardari e si oppone a suo modo all’altro miliardario George Soros che finanzia con cifre stellari le ONG che portano i migranti. A sua volta Bannon parla amabilmente con i suoi ex-amici della Goldman Sachs, chiede consigli ci possiamo comprendere come dietro le sue idee e la sua figura ci sia un progetto ben più ampio. Nel documentario la Klayman non dà sosta al nostro Bannon, e al contrario del documentario di Moore che ridicolizzava Trump (fino a gelare la platea mostrando che anche Obama in fin dei conti era della stessa pasta, mentre fingeva di bere un bicchiere di acqua inquinata), riesce in pieno, pur con i limiti posti dallo stesso Bannon durante alcuni incontri privati, a portarci dentro la sua missione fatta di jet privati e alberghi a cinque stelle, “ che cavolo penserà la gente guardando questo documentario dove vado sempre in ville di lusso e alberghi a cinque stelle !” dice proprio Bannon divertito in una scena, e infatti è proprio questa la domanda. Il film-documentario realizzato durante tutto il periodo di viaggi tra i sovranisti europei, fino alla sconfitta di Trump alle elezioni di mid-term, dove Bannon dice: “non ci daranno mai soldi per il muro” e profetizza la probabile non rielezione del suo delfino. Ma prima di arrivare a questa conclusione lo ritroviamo spesso nel nostro paese, dal suo viaggio a Roma dove con un discorso semplice e diretto ha convinto una platea incuriosita, strappando poi tanti selfie, e questo parlare sembra davvero dargli linfa vitale. In una scena in particolare un provato Bannon dopo tanto viaggiare in aereo confessa, “ho 64 anni cosa altro potrei fare, adoro girare, parlare alla gente, ho scelto questa missione”.
Resta sempre il dubbio di chi abbia deciso e lo sponsorizzi per questa missione, visto che in tanti si chiedono davvero chi sia dietro e muova le fila. Ma senza scomodare i complottisti, il documentario ci fa capire e lascia intendere tante cose, una scelta perfetta da parte della Klayman che ha scelto per l’apertura della sua storia un Bannon che ci parla della immane tragedia chiamata Olocausto e al tempo stesso sottolinea come l’industria tedesca lo organizzò con tremenda efficacia e in poco tempo.
Alyson Klayman ha dedicato giustamente il suo film ai suoi nonni sopravvissuti all’Olocausto i quali hanno trovato una nuova vita negli Stati Uniti, e si chiede come mai durante il suo lungo viaggio, abbia incontrato tante persone con una storia simile alla sua che ora invece appoggiano Trump e la sua politica contro le immigrazioni. Bannon promette che grazie alla sua politica, e alla elezione di Trump, sia stato restituito il potere ai giovani a quel sogno americano mai realizzato, ad una giustizia sociale che la globalizzazione sembra aver spazzato via. Quello che resta a chi vi scrive e che resterà agli spettatori probabilmente è invece la comprensione che un gruppo di persone ricche, a prescindere dalle loro idee pro o contro immigrazione, continuino a gestire male il destino di un fragile pianeta e se Alyson Klayman ha avuto la fortuna o la sfortuna di mostrarcelo, allora possiamo senz’altro paragonarla alla Leni Riefenstahl nella sua accezione più positiva. The Brink – Sull’orlo dell’abisso, ci permette di fare un passo indietro su quell’abisso, permettendoci di comprendere meglio e in modo chiaro quello che troppo spesso i media di tutto il mondo riportano in malo modo per calcolati interessi.