Pavarotti: L’uomo dietro la Voce secondo Ron Howard /Recensione

19/10/2019 di Redazione

Pavarotti, presentato con grande successo alla Festa del Cinema di Roma alla presenza del regista Ron Howard con a seguito uno dei produttori e con la presenza dell’ultima moglie del tenore: Nicoletta Mantovani, uscirà nelle sale italiane  solo il 28, 29, 30 ottobre.

Definirlo un ottimo biopic è fin troppo riduttivo, il lavoro svolto da Ron Howard, ma in realtà da tutto il team ben diretto da Nigel Sinclair, uno dei principali produttori e collaboratore di vecchia data del mai dimenticato Richie Cunnigham di Happy Days per il pubblico degli anni ’70, hanno confermato le loro capacità già espresse con precedenti  biopic come nel caso  Beatles, anche se in questa operazione sono riusciti  in modo superlativo. Nel caso di Pavarotti ,  forse perché la sua storia che sembra davvero essere uscita da un melodramma dell’opera, per la forza espressa dal tenore, il risultato è stato quello di  essere riuscito a commuovere perfino una platea di spietati critici, che non solo hanno riconosciuto lo splendido lavoro di ricerca composto da tanti  video inediti , grazie a vecchie registrazioni amatoriali, ma è stato amplificato dalla sensibilità e le capacità di Ron Howard di unire ad ogni precisa aria dell’Opera un momento bello o drammatico della vita del grande tenore, una figura forse anche troppo criticato nel nostro paese verso la fine della sua carriera per la storia d’amore con la giovane Nicoletta Mantovani, che in realtà ha portato la sua italianità nel mondo, e cosa ancora più importante ha fatto conoscere il mondo dell’Opera a livello planetario avvicinando i giovanissimi e de facto forgiando ormai nuove generazioni che sognano un giorno di poter calcare le scene come il grande Luciano Pavarotti, magari consci della difficoltà di raggiungere il suo vertice, ma con la lezione che dietro al successo serve tanto lavoro e dedizione.

pavarotti

Quello che ci viene restituito da Ron Howard è l’uomo Pavarotti, dotato di un immenso dono, che secondo lo stesso tenore era merito del miracolo che gli aveva permesso a 12 anni di superare un grave infezione al tetano, e di superare il terribile periodo della seconda guerra mondiale da bimbo nella sua Modena, lui figlio di un padre panettiere, in realtà grande tenore che non era riuscito a calcare le scen. E sarà sulla spinta personale di questo dono della nuova vita , della madre che non vuole una semplice carriera di professore, che gli consigliava il disilluso padre, a portarlo, dopo un lungo e serio lavoro sul canto a diventare, piano, piano, la stella dell’Opera. Oggi come lo stesso produttore Nigel Sinclair ha sintetizzato ai nostri microfoni :” dire Pavarotti è dire Opera“, e il merito impagabile è stato quello di aver avvicinato chiunque, anche popolazioni che fino a qualche decina di anni fa ignoravano questo patrimonio nato in italia a portarci tenori, musicisti e a portare o meglio riportare l’Opera al suo degno posto, dove Enrico Caruso l’aveva già portata e Pavarotti è stato l’inevitabile degno erede italico.

Difficile riportare in poche righe quanto di interessante e molto spesso coinvolgente fino alle lacrime vediamo all’interno del documentario, che nelle sue due ore , grazie alla storia del tenore e le perfette scelte di regia e montaggio operate dal team di Ron Howard risulta non solo l’omaggio più bello per Pavarotti, ma ci mostra anche l’uomo, con le sue debolezze, una persona che in alcuni casi cedeva alla sua condizione umana e che viveva il suo ruolo in modo intenso e sofferto, tanto che ogni volta che andava sul palco , sempre nervoso nonostante ormai fosse arrivato alla perfezione e con un repertorio incredibile diceva: “vado a morire“. E’ questo l’aspetto più bello e interessante di tutta l’opera di Ron Howard, che si è avvicinato da scarso conoscitore dell’Opera, come un qualunque uomo della strada che sapeva chi era Pavarotti grazie ai media, ma ben poco sapeva della sua storia. E’ proprio attraverso la sua storia che la sensibilità di Ron ha trasformato questo semplice biopic in qualcosa di molto intenso, facendolo quasi pentire di non aver seguito prima Pavarotti e comprendendo alla perfezione la fusione tra le arie e la vita dell’artista grazie ad un incredibile lavoro di ricerca di archivio.

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Le parole più interessanti poi vengono da Bono degli U2 che racconta la curiosa nascita della canzone scritta per Pavarotti, dopo un assillo continuo anche grazie alla sua nuova moglie Nicoletta fan del gruppo. Una intervista che sembra quasi testimoniare non tanto chi era Pavarotti, con cui era diventato amico, e lo aveva sostenuto con i suoi incredibili concerti Pavarotti and Friends, ma quasi a raccontare se stesso ormai maturo cantante che ricorda il suo amico e che sembra quasi tracciare un parallelo tra le loro vite artistiche. Non ultimo il sentito ricordo dei due tenori che formaro l’incredibile trio: Carreras e Domingo, che raccontano con grande nostalgia i loro concerti e l’amicizia che si era cementata tra di loro, qualcosa che andava ben oltre i concerti e il successo.

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Il film inizia con un curioso concerto nel centro dell’amazzonia, dove Pavarotti era voluto andare per cantare lì dove aveva cantato anche Caruso, un teatro vuoto, aperto per l’occasione con pochi spettatori , che una videocamera amatoriale riprese,una vera fortuna per Ron Howard perché proprio in quei pochi minuti dove Pavarotti si esibisce sullo stesso palco calcato dal suo idolo cento anni,nel cuore dell’amazzonia , ora al centro di tanti problemi legati all’ambiente, davanti a pochi spettatori sembra davvero sintetizzare l’inizio dell’Opera di Pavarotti, Opera con la O maiuscola perché dal doppio significato. Un’Opera  che ancora oggi prosegue con tante iniziative benefiche, ma soprattutto con la sua eredità fatta da 100 milioni di dischi venduti, da  quella Nessun Dorma che su YouTube (caricata in realtà da un fan del tenore) è stata vista finora da 7.5 mln di persone e che siamo certi arriverà facilmente ad 8 a fine anno, e che chiude il documentario su una persona che è andata ben oltre i suoi meriti artistici e che ha vinto la sua scommessa con la vita, lasciando qualcosa che va ben oltre l’Opera stessa e che difficilmente si può esprimere a parole.

 

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