Maniac: un viaggio incredibile fra realtà e psicofarmaci – Recensione

26/09/2018 di Redazione

Maniac è la nuova miniserie Netflix online da qualche giorno. Un cast che conta fra gli altri Emma Stone, una delle attrici più quotate di Hollywood creato da Patrick Somerville e diretto da Cary Fukunaga probabilmente l’unico in grado di dirigere questa serie futuristica e allucinata.

In genere facciamo la sinossi della serie, ma nel caso di Maniac è una cosa perfettamente inutile perché in realtà non esiste una vera e propria trama, un canovaccio semmai, una base teatrale applicata al cinema per poi partire verso le realtà diverse raccontate nei viaggi psicotici dei protagonisti.
Maniac è un viaggio dentro le paure dei protagonisti.

Il canovaccio è semplice: Owen (Jonah Hill) e Annie (Emma Stone), due persone in profonda crisi esistenziale e depressiva ma distanti caratterialmente ed emotivamente, si ritrovano all’interno di una sperimentazione farmaceutica che promette di risolvere i loro problemi.
Annie, dipendente dal farmaco come una drogata, accetta di entrare nella sperimentazione per non doverci rinunciare e Owen, affetto da allucinazioni entra nel programma perché convinto di far parte di un complotto nel quale Annie è il suo punto di riferimento.
Emma Stone e Jonah Hill strepitosi protagonisti di Maniac.

Siamo apparentemente in un mondo a metà strada fra l’ucronico e il distopico in quanto le apparecchiature, i computer sembrano fermi agli anni 80, ma altre tecnologie sembrano già proiettate nel futuro come appunto il computer centrale dell’azienda farmaceutica che è in pratica una rivisitazione meno drammatica di Hal9000 di “2001 odissea nello spazio”.
La falsa pista di Owen mezzo folle e di Annie drogata trae subito in inganno lo spettatore convinto di ritrovarsi davanti un viaggio grottesco e claustrofobico all’interno di una struttura asettica e ipercontrollata. In realtà tutto questo sottobosco iniziale si dipana con il primo “viaggio” mentale di Annie che rivive in modo vivido e drammatico la morte della sorella.
L’abilità della serie sta proprio nella gestione delle due realtà, quella della sperimentazione che appare del tutto sfasata e al limite del grottesco con situazioni che mettono in evidenza come la tecnologia e le emozioni siano ancora due mondi difficilmente conciliabili; dall’altra abbiamo un viaggio mentale che è diretta conseguenza di un errore materiale nato proprio dall’aver fornito ad una macchina le emozioni. Una specie di corsa fra stili, epoche e fantasie che non fanno altro che mettere i due protagonisti davanti alle loro debolezze e alle loro paure.
La non accettazione della morte della sorella è la paura di Annie.

Infatti la base di tutto, il vero significato difficile da scorgere è proprio questa ricerca spasmodica e contrastata del confronto fra la mente lucida che cerca di continuo giustificazioni e la mente libera e senza inibizioni che al contrario vuole affrontare i fantasmi del passato come fossero catene dalle quali liberarsi.
Maniac mette dentro tutto, dalla commedia animalista al noir anni 40, dal fantasy spicciolo alla fantascienza, e tutto questo senza mai perdere di vista il filo conduttore dei due protagonisti in cerca di una soluzione per guarire da loro stessi e dalle loro paure.
Le luci e la fotografia sono un elemento fondamentale in Maniac.

Dal punto di vista visuale, siamo sicuramente davanti a una scelta molto diversa rispetto ad altri lavori di Fukunaga. Siamo in un territorio nel quale i colori assumono un ruolo ben preciso così come le sfumature. Si passa dalla psichedelia anni 60 nella quale sembra pervaso il laboratorio per poi passare al colore forte e quasi soffocante del ricordo di Annie con la sorella.
L’importante è che alla fine, seppur in modi bizzarri e a volte comici, arriva un messaggio ben chiaro di come sia complesso mettere in piedi un qualcosa di godibile visivamente ma che allo stesso tempo racconti il malessere quotidiano dei protagonisti.
Maniac: Sally Field perfetta nel ruolo di madre del prof, Mantleray

Nel mezzo di questo abbiamo anche l’intromissione del computer, il quale pur dotato di una certa personalità fredda e tipicamente robotica, si trasforma esso stesso in un malato che non riesce ad accettare la morte del professor Muramoto, creando di fatto un black out emozionale dai risvolti a volte ridicoli e a volte tragici.

L’interpretazione.

Va subito detto che pur avendo una  preparazione di base da attore comico, Jonah Hill è riuscito a spaziare in ogni angolo della complessa personalità del suo personaggio, accettando anche la sfida a livello di recitazione con la sua ben più famosa co-protagonista Emma Stone.
Il risultato finale è stato davvero sorprendente e Maniac deve molto al cast e alla sua bravura. Non possiamo certo parlare di figure già iconiche, ma di certo i personaggi di questa serie TV sono il frutto di un attento lavoro da parte degli showrunner.

Justin Theroux in una scena di Maniac.

Justin Theroux ha dato un’altra grande prova d’attore interpretando lo scostante ma geniale Prof. Mantleray, inventore del procedimento a cui sono sottoposte le cavie umane. Mantleray è ossessionato dal sesso virtuale che preferisce addirittura al sesso reale e per il quale ha perso anche l’amore della dottoressa Fujita, altro personaggio da incorniciare.
Con un figlio così complesso, la madre, figura a cui Fujita si è ispirata per dare emozioni al computer centrale, doveva essere interpretata da una grande attrice capace di interpretare un personaggio concreto ma allo stesso tempo borderline e la scelta è stata quella di Sally Field che ha retto perfettamente un ruolo solo in apparenza minore rispetto ai protagonisti assoluti.

La nostra recensione di Maniac continua a pagina 2.

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