John McEnroe – L’impero della perfezione: Recensione, la palla è sulla linea
06/05/2019 di Redazione
John Mcenroe – L’impero della perfezione, nella storia del tennis John McEnroe è il giocatore che, insieme al suo grande rivale Borg, è rimasto maggiormente impresso nella memoria dello spettatore. Non solo è il giocatore più forte che ha stravolto la tattica di questo sport, ma è molto noto e osteggiato dal pubblico per il suo carattere irascibile fatto di terribili litigate con gli arbitri sul campo, per una palla sulla linea o fuori.
Frutto dell’incredibile lavoro di Gil De Kermadec, questo splendido documentario analizza in modo scientifico tutto il campione, il suo stile le sue innate capacità, i fantastici litigi che, in realtà, a distanza di tempo lo rendono molto più simpatico di quanto non lo fosse stato all’epoca al pubblico presente ai suoi incontri.
L’analisi di un campione
Il regista Julien Faraut si è “impadronito” di tutto il materiale infinito di Gil De Kermadec, fatto anche di inediti video, e ha ricostruito la sua opera nata nei primi anni Ottanta per creare filmati didattici e divenuta in breve un vero e proprio studio sul campione americano, che durante gli anni Ottanta dominava tutti i campi. Incentrato sui suoi incontri al Roland Garros, dove Kermadec girava i propri film, John McEnroe – L’impero della perfezione ci porta dentro le capacità tecniche e umane del tennista. Un McEnroe senza segreti di cui il documentario , prima lentamente, poi in maniera sempre più coinvolgente – ci porta a scoprire l’incredibile talento, fino allo scontro finale con Ivan Lendl , nella finale al Roland Garros del 1984
I video di De Kermadec cercavano a suo tempo di svelare i segreti, la postura e l’approccio tecnico che affascinava il mondo del tennis propri di questo mancino di origine irlandese, capace di esibire un serve-and-volley portentoso, di metter in mostra un talento e movenze assolutamente senza precedenti.
Il John McEnroe mostrato in questo documentario, però, viene tratteggiato seguendo uno stile e un iter assolutamente diverso da quello di un documentario “classico”, tanto che possiamo tranquillamente affermare che John McEnroe – L’impero della perfezione ambisca ad essere un’operazione di stile unica, assoluta, quasi quanto lo era il tennis del protagonista sul campo.
Il cinema mente lo sport no
Ed è con la frase del cineasta francese Jean-Luc godard: “Il cinema mente lo sporto no” che apre il documentario, tramite cui Faraut effettua, grazie all’immenso archivio di Kermadec, un’analisi probabilmente mai fatta su uno sportivo, a prescindere dallo sport praticato.
John McEnroe è stato sempre stato considerato, sbagliando, uno antisportivo, che non voleva perdere e che si attaccava per un misero punticino (magari anche inutile nella partita che stava vincendo). Ciò che veramente emerge qui è la capacità di cercare la perfezione da parte del campione. La perfezione che non riscontrava sul campo da parte di chi doveva controllare, cosa che lo irritava a livelli atroci, portandosi dietro anche l’odio del pubblico, pronto a tifare contro di lui in ogni occasione.
Dalla sua sconfitta contro il glaciale Lendl, con il pubblico del Roland Garros fin troppo felice di vederlo finalmente perdere, emerge il ragazzino che aveva sconfitto il leggendario Borg. Un McEnroe che comprende di non poter raggiungere mai quella perfezione a cui ha sempre ambito. Un aspetto che finisce per rendercelo più umano e simpatico, rimanendo sempre uno dei più grandi campioni di tennis, capace di prendersi in giro anni dopo in una simpatica pubblicità di un’automobile. Una pubblicità in cui dimostra che la vettura è sulla linea. E siamo certi che molte palle chiamate fuori, in realtà, erano sulla linea della perfezione che aveva tracciato John.