Fahrenheit 11/9: Recensione, del documentario contro tutti di Michael Moore

21/10/2018 di Redazione

Fahrenheit 11/9  è l’ultima fatica dei Michael Moore presentato  alla tredicesima festa del cinema di Roma, un film che dispetto di quello che si aspettava non è contro Trump, ma contro tutti, un semplice capolavoro del cineasta di nato a Flint.

Fahrenheit 11/9  è un film difficile da descrivere a parole. Uscirà, a mio giudizio colpevolmente (pur comprendendo i gravi problemi della distribuzione in Italia) solamente nelle nostre sale per tre giorni il 21-22-23 ottobre, ma va fatto un plauso alla Lucky Red per avercela fatta. La speranza è che riusciate a trovare 2 ore della vostra vita  in questi tre giorni per vederlo, perché Michael Moore  (qui il nostro incontro ravvicinato con lui) vi farà capire tante cose del suo paese che inevitabilmente si riflettono sul mondo intero.

Se il cambiamento climatico è ormai in atto, non è certo per colpa di Trump che si è ritirato dagli accordi di Parigi per (che in ogni caso saranno operativi solo dal 2020), ma se il cambiamento politico negli Stati Uniti e in tutto il mondo non avverrà a breve sarà anche colpa vostra che non avrete voluto trovare 2 ore del vostro del tempo per vedere un film che farà riflettere per anni.


Partendo quasi da pretesto di come si sia arrivati alla presidenza Trump, il regista sempre con il suo stile ironico di provocazioni con montaggi molto divertenti e graffianti  ci porta dentro la politica americana, facendoci comprendere che  la perdita di identità del Partito Democratico, la mancata  elezione di Hillary Clinton, è una storia che parte da molto lontano.
Bernie Saunders avrebbe potuto essere il primo Presidente “socialista”, ma ha dovuto fare un passo indietro per fare spazio a quella che si pensava fosse la prima donna a diventare presidente.  Donald Trump , grazie anche al suo geniale stratega Steve Bannon , ha capito dove doveva spendere la sua immagine per vincere, cercando il consenso in  quegli stati che lo avrebbero portato a comandare la nazione più potente del mondo.

Nelle due ore di film , oltre a sottolineare il pericolo Trump, con un suo personale “io ve lo avevo detto”, Moore giunge perfino ad uno scomodo paragone con  Adolf Hitler,  inserendo in alcune scene  la voce del Presidente Trump sulle immagini di uno dei discorsi del dittatore, forse una deriva esagerata, ma l’unica perché paradossalmente il momento  clou del film, quello che fa capire allo spettatore, perché doveva vedere questa pellicola  e forse, dopo essere uscito dal cinema, lo convincerà volersi candidare per le prossime elezioni europee , è la descrizione della crisi idrica della sua città Flint nel Michigan, da sempre scenografia dei suoi film.
Nella cittadina come spesso capita anche da noi, un pessimo governatore ha pensato bene di costruire un’inutile acquedotto per poi rifornire la città ,che conta una maggioranza di cittadini di colore , invece che dalle limpide acque del lago Huron come accadeva da sempre, si è preferito  il fiume inquinato della città. ll risultato è stato quello di provocare un’avvelenamento da piombo a tutti, in particolare ai bambini. Questa follai, che poi a sua volta ha costretto i cittadini a rifornirsi di acqua confezionata, ha portato ad una serie di denunce a tutte le agenzie federali, creando un vera crisi.
Ma un bel giorno dal cielo è arrivato lui : Barack Obama, l’uomo della speranza, accolto come un salvatore come scendeva dal suo poderoso Air Force One e invece di denunciare e magari far rimuovere il governatore si è limitato ad appoggiarlo, facendo finta di assaggiare un bicchiere d’acqua della città, dove falsando i dati reali si diceva che era pura e potabile, ed in pratica avallando le scelte scellerate operate dal governatore dello stato

Moore parte da questo episodio totalmente sconosciuto a noi europei, per dimostrare come la solida base dei votanti di colore si sia persa, e questo ha portato al trionfo di Trump.
Semmai il  cosiddetto sogno americano è mai esistito, Moore ci dimostra  come tutto sia falso, come solo l’avidità e il potere di chiunque diriga la nazione più potente, è ben controllato da lobby e poteri forti , che riforniscono di dollari i loro candidati.
La flebile speranza di un’America che possa farcela viene affidata alle immagini dei ragazzi ancora minorenni del movimento MarchFourOurLives, che dopo l’ennesima strage in un liceo americano, ha detto basta e vogliono la riforma vera sul controllo delle armi, quella che la potentissima lobby della NRA, che riempie di dollari i politici non vuole.
Alla fine di tutto comprendiamo che non stiamo vedendo un bel film documentario di un grande cineasta, stiamo vedendo un pezzo di storia vera che si riflette su tutti noi, senza alcuna pietà Michael Moore ci sbatte in faccia la triste realtà della sua nazione dove nessuno è innocente nel suo sistema politico, ma ci lancia il messaggio fondamentale di non mollare, di continuare a lottare come i ragazzini scesi in strada contro le armi. Ragazzi che  diventeranno presto maggiorenni, loro vivranno con i cambiamenti climatici, ma la speranza è che il bicchiere di acqua inquinata venga fatto bere sul serio a chi troppo spesso semina morte in altre nazioni e non fa nulla per la propria.
Siamo solo a metà della presidenza Trump, i ben informati dicono che non vedrà mai il film, sinceramente non ne siamo certi, resta il fatto che avete solo tre giorni per vederlo al cinema, perché Moore vuole che lo vediate al cinema tutti insieme, uno dei pochi luoghi sociali rimasti, secondo lui, con un prezzo accessibile, e la speranza, come detto prima, e che quando usciate dal cinema possiate anche voi decidere di scendere in campo per cambiare le cose, alcuni popoli in passato lo hanno fatto, la chiamano rivoluzione.

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