Edward Norton: incontro alla Festa del Cinema di Roma
22/10/2019 di Redazione
Durante l’incontro con Edward Norton, alla 14ª Festa del Cinema di Roma, l’attore ci ha raccontato la preparazione dei suoi personaggi più iconici.
Da American History X a Fight Club. Fino a La 25ª ora. Alla 14ª Festa del Cinema di Roma, protagonista di un incontro, Edward Norton. Attore, regista e produttore. Presente a quest’edizione in concorso con il film Motherless Brooklyn, che ha diretto e interpretato. Attraverso la visione di clip estrapolate da sei film, l’attore ha raccontato la preparazione di alcuni dei suoi personaggi rimasti nella Storia del cinema. Integrando anche una riflessione sulle differenze tra cinema e teatro.
Quanto è stata importante la tua preparazione ed esperienza teatrale per la recitazione cinematografica?
Edward Norton: “il teatro ti permette di lavorare sul corpo, si legge il testo in maniera diversa. Forse perché si ha un ruolo primario, bisogna far prove su prove. Quando si va in scena è come se ti passassero la palla: tu sei un giocatore e si è a pochi secondi dall’inizio di una partita. Un attore di teatro ha un sacco di responsabilità. Deve comprendere e mettere al centro della sua interpretazione l’intera storia e l’arco completo del personaggio. Sul grande schermo la lavorazione è frammentata. Credo che una formazione teatrale consenta ad un attore di affrontare il lavoro su un set cinematografico con una maggiore consapevolezza d’insieme“.
Durante la tua esperienza teatrale hai lavorato con un grande maestro: Terry Schreiber. Quanto hai imparato da lui?
Edward Norton: “Terry è un insegnante straordinario. Molti insegnanti di recitazione non vogliono che gli allievi diventino degli attori professionisti auto-funzionali. Vogliono più attori che non riescano a staccarsi dai propri insegnanti. Che sviluppino una sorta di dipendenza. Ho ammirato la sua capacità di parlare del nostro mestiere come se fosse quello di un falegname. Con semplicità e naturalezza. Spiegando gli strumenti da utilizzare, la mitologia, la strategia, il modo di guardare e affrontare le cose. Tenendo conto del fatto che i testi, teatrali e cinematografici, sono molto diversi, come gli stili. E grazie a lui ho sviluppato la capacità di utilizzare questi strumenti diversi in modo diverso“.
Per quanto riguarda Tutti dicono I love you di Woody Allen ha preso il sopravvento la paura di quello che chiedeva Allen o il divertimento del girare un musical?
Edward Norton: “l’unica cosa che mi ricordo è che nessuno mi aveva detto che questo film sarebbe stato un musical. Io ero felicissimo di aver avuto la parte, sono passati tantissimi anni. Ero entusiasta, ricordo di aver chiamato mia madre: io e lei siamo grandi appassionati dei film di Woody Allen. Conoscevamo bene tutta la sua carriera fino all’epoca, era lo stesso periodo di Primal Fear (Schegge di paura). Poi però mi chiamarono e mi dissero: adesso ti mandiamo il copione, dovrai imparare lo spartito, prendere lezioni di canto… Quindi ho realizzato che sì, avevo avuto la parte nel film, ma era un musical. Sicuramente è grazie a quella scena che molti hanno deciso che io ero una sorta di giovane De Niro“.
Tu hai lavorato due volte con De Niro e anche con Marlon Brando. Com’è stato lavorare con loro, hai qualche ricordo personale di questi due grandi attori?
Edward Norton: “ho dei ricordi vividi. Al primo ciak con tutti e tre, Marlon doveva versare dell’acqua in un bicchiere. Ma prese male la mira e si versò tutta l’acqua sulla camicia. E nel frattempo Robert De Niro si stava addormentando“.
Cosa hai imparato da loro?
Edward Norton: “era affascinante veder recitare Marlon Brando. Credo che nessuno abbia avuto l’impatto sulle persone e sugli attori come lo ha avuto lui. La recitazione con Marlon ha avuto una svolta. Per me è stato una sorta di spartiacque nel mondo del cinema. Ha ispirato attori come, appunto, De Niro, Dustin Hoffman, Robert Duvall, Meryl Streep. Arrivando fino a noi. Per quanto riguarda invece De Niro ho sempre apprezzato l’intensità della sua concentrazione. Il suo lavoro è approfondito, ha una capacità di catturare ed esprimere la condizione interiore di un personaggio come nessun altro. Rende lo sconvolgimento interno visibile, anche se non verbale. A volte sembra quasi di sentire i pensieri. Ricordo che cercavo di captare qualcosa del suo modo di recitare, ma era troppo difficile riprodurlo. Aveva un suo ritmo personale… è stato davvero affascinante lavorare con lui“.
C’è una sorta di luogo comune che dice che nel mondo dello spettacolo il teatro è il mezzo ideale per gli attori, come lo è il cinema per i registi e la televisione per i produttori. Tu cosa pensi di questo, c’è un fondo di verità?
Edward Norton: “sì, un briciolo di verità c’è in questo detto, non l’avevo mai sentito“.
Personalmente ti diverti più a teatro o al cinema?
Edward Norton: “mi piacciono molto entrambi. Nel teatro a volte è come sentirsi una rock star. C’è un rapporto più viscerale con il pubblico, l’energia che si emana è maggiore“.
Ultimamente Scorsese ha dichiarato che in questo momento storico ci sono alcuni film che sono più dei parchi divertimento a tema che del vero cinema. Che ne pensi di questa osservazione?
Edward Norton: “di Martin si può dire che lui si è immerso nel cinema più di tutti. È un regista totalmente preso dall’arte cinematografica, e per questo ha guadagnato il diritto di esprimere qualsiasi tipo di opinione su questo tema. Però queste sue parole non vanno prese fuori dal contesto di cui si parlava. Lui faceva riferimento a un concetto complesso. C’è il rischio di poter offendere, ma non è così. Lui è un regista che crea e suscita sempre delle emozioni forti nei suoi film. Ognuno si rapporta in modo diverso in base alla propria personale idea di cinema. Ognuno le cose sempre rispetto ad altre. Non c’è giusto o sbagliato nel cinema“.
Come ti sei preparato per il celebre ruolo di American History X?
Edward Norton: “con il mio amico, David, lo sceneggiatore, abbiamo parlato molto del concetto di tragedia shakespiriana. Di opere come Otello e Macbeth. Sono tragedie in cui il protagonista, pur avendo una spiccata intelligente e capacità di leadership, affronta una caduta per via di una su debolezza, o di un suo difetto. Noi ci siamo chiesti come poter raffigurare questo tipo di tragedia classica in un’epoca moderna. E abbiamo pensato ad un uomo la cui ira e rabbia finisce per distruggerlo. Trasformandolo, tanto che le sue qualità positive sembrano non esistere. Vengono quasi soppresse“.
Tra i tuoi mentori c’è stato anche Edward Albee, l’autore di: “Chi ha paura di Virginia Wolf?“.
Edward Norton: “io all’epoca avevo 23 anni e lavoravo a New York ad un’opera teatrale. Lui era il mio preferito tra gli scrittori dell’epoca. Mi ricordo che gli scrissi una lettera a proposito di una sua opera che avevo appena letto. E lui non solo lesse la lettera che disse di apprezzare, ma venne anche a vedermi sul palcoscenico. Ero felice, ma anche molto sorpreso. Fu con lui poi che ebbi il primo ingaggio da attore teatrale professionista. Da Terry ho imparato veramente molto“.
Per quanto riguarda Fight Club tu sei partito dal libro, ti sei consultato con Palahniuk, o solo con Fincher? Che tipo di lavoro è stato fatto anche con Brad Pitt?
Edward Norton: “qui ritorna il concetto che il mezzo ideale per il regista è il cinema. Questo, appunto, ne è un esempio. Sì, sicuramente ho preso ispirazione dal libro. Ma questo è un film del regista, che ha dato prova di virtuosità tecnica, intrecciandola a dinamismo. Con molti elementi e note comiche. È di David, è suo. Nessun altro avrebbe potuto avvicinarsi a questo tipo di film. Simbolo di cinema e di regista sono un tutt’uno, sono quasi la stessa cosa espressa in maniera diversa“.
“Il libro è una sorta di dark comedy. Molto cupa e anche molto divertente. Ricordo che leggerlo è stata un’esperienza indimenticabile, memorabile. È stata una lezione di vita importante, un viaggio affascinante. Noi ci siamo sentiti tutti vicini a questo film, al tema. Era come se esprimesse qualcosa che noi stessi provavamo e sentivamo come nostro. Intimo e personale. Ne avevamo capito il senso, e questo ci ha portato a lavorare con la massima sincerità. A Venezia non eravamo speranzosi, infatti non ebbe neanche molto successo. Ma non contò così tanto per noi. Avevamo creato un rapporto e legame con il pubblico. Sentivamo che il film fosse stato compreso, ed è diventato ciò che tutti coloro che hanno partecipato speravano che diventasse. Eravamo delusi ovviamente, perché uno spera sempre che un film venga ben accolto e abbia successo anche per la critica. Ma a volte conta più l’esperienza artistica che il successo commerciale“.
Per quanto riguarda La 25ª ora e il tuo rapporto con Spike Lee? Da regista sei stato influenzato per Motherless Brooklyn?
Edward Norton: “Spike Lee ha trasformato il senso stesso di quello che si vuole cercare di ottenere con il cinema. Nei suoi film lui ha una propria caratteristica, originale e personale. Lui è attore, regista, sceneggiatore e produttore. E ha affrontato delle sfide morali nella società americana. La 25ª ora ha avuto un forte impatto, su di me come attore e, poi, come regista. Ho cercato, da regista, di usare tutto ciò che avevo imparato da Spike Lee. Lui ha e crea una qualità visiva incredibile e molto complessa. La sua preparazione è meticolosa, fa molte prove. Anche lo stesso piano di produzione e i movimenti di macchina vengono rifatti più volte. E sono ricchi di dettagli. Lui richiede da tutti la massima efficienza. Con lui ho capito che il tempo necessario per fare un film è relativo. Lui con poco tempo e denaro ha realizzato qualcosa di unico. E lo ha fatto in soli 26 giorni“.