David 2019, Dogman e Il Gattopardo

28/03/2019 di Redazione

David 2019, Dogman, il bellissimo film di Matteo Garrone vince come miglior film e si porta a casa altre otto statuette. Sulla mia pelle, il film sulla tragica storia di Stefano Cucchi, è l’altro vincitore di serata, e Luca Guadagnino può ritenersi soddisfatto per il suo David per la migliore sceneggiatura originale, da condividere con Walter Fasano e James Ivory, per Chiamami col tuo nome. Ma la lista completa dei premiati la potete trovare qui. Adesso bisogna parlare de Il Gattopardo.

All’ottava edizione dei David di Donatello, nel 1963, Il gattopardo vinse un solo premio, quello per il miglior produttore, Goffredo Lombardo, oltretutto ex-aequo con la co-produzione francese Uno di tre, dimenticabile film di Andre Cayatte. Luchino Visconti fu battuto da Vittorio De Sica, che vinse per la regia di I sequestrati di Altona, decisamente non uno dei suoi migliori. All’epoca le categorie in competizione erano solo quattro per il cinema italiano, e non c’era miglior film. Ma in ogni caso, per uno delle più sontuose opere della storia del cinema italiano un ben magro bottino. Certo, la Palma d’oro di Cannes era senz’altro un’abbondante consolazione…

Che c’entra Il Gattopardo con questi David 2019, direte voi.

“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”

Nello straordinario romanzo di Tomasi di Lampedusa questa frase esce dalla bocca di Tancredi, figlio del principe di Salina. Credo sia la maniera migliore per sintetizzare questa edizione del premio dell’Accademia del cinema italiano, da mesi promossa come quella del “cambiamento”.

Sì, sono cambiate alcune cose. Giuria, regolamento, modalità di voto. Il risultato però è sempre lo stesso. Una prevedibile celebrazione di una fetta scientificamente precisa del cinema italiano, che continua a lasciare indietro troppi talenti, giovani e meno giovani, e a premiare chi ci si aspetta che venga premiato. Serve tutto questo alla nostra industria? Sì, assolutamente, e continuerà a servire, esattamente così com’è.

Il vero cambiamento sta proprio nella consapevolezza che non c’è alcun bisogno di spacciare il David per qualcosa che non è. Un evento che premia l’eccellenza del cinema italiano, dal top fino a un certo punto. Gli altri possono mettersi in fila e aspettare il loro turno.

Nessuna polemica, perché solo un pazzo incompetente potrebbe dire che Marco Spoletini non sia un montatore di livello mondiale, che la fotografia di Nicolaj Brüel non sia sontuosa e che Dimitri Capuani non si meritasse il suo secondo David per la scenografia. Se Dogman è un film straordinario è anche merito loro. E di Edoardo Pesce, che ha vinto in un’agguerrita categoria come attore non protagonista. E dispiace per Marcello Fonte, perché non è vero che dopo Alessandro Borghi ci ha messo anima e corpo nel suo Stefano Cucchi.

Insomma, eccellenze. Ma come abbiamo detto nella nostra Paranza degli Esclusi, si poteva fare di più. Si dovrà fare di più. Perché se questo è il cambiamento, sembra più quello di Medical Dimension, citando Renè Ferretti da Boris.

Ecco, il futuro. Vorremmo che il futuro ci liberasse da Platinette, dalla cerimonia da locura composta che lascia un profondo imbarazzo. È una scelta autoriale e aziendale, così il pubblico generalista si approccia meglio allo sfavillante mondo del cinema. E indovinate un po’: non è vero. Un punto in più di share rispetto lo scorso anno, alcuni momenti veramente da cancellare.

In particolare: il siparietto in cui si sono presi in giro giornalisti e critici di settore è stato davvero di tanto cattivo gusto. E mi fa specie che la presidentessa Detassis, che da decenni dirige la più importante testata di cinema d’Italia, lo abbia potuto permettere.

Ma si sa, non tutte le ciambelle vengono col buco. In questi due anni la cerimonia targata Rai di buchi è stata piena, ma mai quello giusto. Uno spettacolo migliore è possibile, e neanche troppo difficile, ne abbiamo già avuta riprova con un diverso broadcaster. Quindi, anche in questo caso, aspettiamo il cambiamento.

Il futuro poi è fatto di film. E se potessi predire il futuro migliore per il David 2020, allora vedo tante candidature per il popolarissimo cinema di Checco Zalone venisse analizzato con attenzione, quando sarà il momento di dare delle preferenze.

Questi sarebbero tutti bei segnali di cambiamento reale. E insieme a questi, rivedrei alcune norme legate a nomination tecniche come quelle per il suono e gli effetti visivi. Nel primo caso, capendo il disagio per il dover creare delle ulteriori categorie, ci sarebbero più premi da assegnare, perché si tratta di professionalità molto diverse tra loro indebitamente accorpate. Nel secondo caso, tornare all’antico segnalando come nominata l’agenzia o il team creativo, sarebbe decisamente più corretto.

Ah, e forse è il caso di ripensare anche le norme che definiscono un regista esordiente.

Il cambiamento. Che bello sarebbe. Ma, a dire il vero, ho una sensazione. Se mai sarà finito entro questo 2019, i David 2020 saranno il trionfo di Freaks Out di Gabriele Mainetti.

Segnatevelo.

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