Spari a salve in saluteria

di Emiliano Gambelli

“Stirarsi la mattina come fossi una camicia, prendendomi per il colletto, stendendomi a modino sull’asse della tavola da aspiro.
Una tavola creata per poter sognare di essere piuttosto che avere.
Insomma, una normale mattina di febbraio dove il calendario segnava giorno 30. I nati sotto il segno della bilancia non sarebbero stati pesati, quelli nati sopra invece…
Oggi era il primo 30 febbraio della storia e non si sarebbe mai più ripetuto, dunque i nati oggi non avrebbero mai più festeggiato.
Era stata una mossa del comitato bisestile, stanco di essere il rappresentante di persone che potevano festeggiare solo ogni 4 anni.
Così facendo la terra avrebbe sforato di un giorno il suo moto di rivoluzione, gli stipendi di marzo non sarebbero arrivati puntuali, i cittadini non avrebbero pagato il mutuo e le banche avrebbero fatto crack.
Questo lo scenario prospettato dal “movimento ottimisti con parsimonia”.
Non ero ancora uscito da casa e già la giornata era finita storta.
Come se non bastasse avrei dovuto massaggiare un mandarino con la pelle a buccia d’arancia e curare la cistifellea ad una mela verde.
La mia Saluteria ci mise un po’ farsi capire. I primi giorni molti “ciao” e “arrivederci”.
La gente entrava e io chiedevo:
“Desidera?”
“No mai. Arrivederci”
Il secondo giorno andò meglio. Non tanto per gli incassi, lo avevo messo in conto essendo una vita che incassavo in silenzio, accumulando debiti d’ossigeno.

Andò meglio perché entrò lei, che non avevo messo in conto ma che divenne in un istante una spesa in chiacchiere. Di quelle che non danno un rientro se non in benessere.

Il buongiorno che si dipinse sul suo volto, mi fece venire voglia di conoscere il sapore delle sue labbra.
Volevo dimenticarmi il mio idioma e con comodo sedermi, ad ascoltare da zero l’intero vocabolario. Osservando la forma delle lettere, come la morbida circonferenza delle O, il soffice bacio della B, oppure rinvenire con il soffio di sensualità che portava con se la S.
Avrei voluto dirle SÌ a tutto. Non importava la domanda, pensare non era contemplato.

La mattina successiva entrarono, in ordine, un’ equilibrista squilibrato, un medico paziente, una gatta che la sera prima aveva dimenticato lo zampino, un sergente di ferro, un tenente in plastica e una suora che si faceva pregare.
Per andare a fare la spesa, per rifare la stanza, per dire Messa con la bocca vuota anche se lei amava farlo sempre durante i pasti.
Dovetti pregarla perfino di pagare il conto della spesa.
Mi chiese se avevo una concessione per i dipendenti di Dio. Gli dissi che questa non era una farmacia e che per le dipendenze non potevo farci nulla.”

“Chi l’avrebbe mai detto?” Disse l’indovino.
“Diccelo tu, fai l’indovino” Appuntò l’appuntato.
“Lo so ma è difficile dirlo”. Continuò l’indovino.
“Eh, ma allora che indovino sei? Almeno provaci, non che lo chiedi a noi”. L’appuntato lasciò la Saluteria senza più dire “una parola”. Da quel momento non usò mai più questi due vocaboli e si rese conto di come fosse difficile obiettare.
Per fortuna che poco dopo, un obiettore che passava di li riuscì a ritrovare almeno la “parola”
Così l’appuntato poté tornare a utilizzare espressioni come “posso dire… parola?”.
Dal mio bancone intanto coglievo spunti e li vendevo al banco dei Saluti.
Avevo aperto da pochi giorni ma la mia piccola Saluteria sembrava aver preso piede tra gli abitanti di Ceraunavolta.
Luogo per gli amanti dello scivoloso. Inoltre si potevano trovare pavimenti lucidissimi e fate turchesi.
Un posto da favola per chi amava sognare pattinando con le scarpe.
Ceraunavolta era governata da un principe azzurro che non ne voleva sapere di uscire dal castello. Si vergognava di mostrarsi al popolo a causa della sua pelle blu cobalto. Provarono in tutti i modi a smacchiarlo senza successo. Questo nonostante furono usati prodotti che avevano già cancellato macchie di leopardo, strisce di zebra, sporco ostinato dai dalmata e sorriso dalla faccia delle iene. Cosi ricevetti una chiamata poco prima della chiusura che mi avvisava di tenere aperto anche oltre il mio orario. Qualcuno sarebbe passato di lì a poco a fare un saluto.

Foto copertina da Emiliano Gambelli)

(Se ci volete scrivere per dire la vostra, per raccontare una storia, c’è uno spazio per voi: Liberi Pensatori. Manda una mail a liberipensatori@giornalettismo.com. Questo spazio è per voi)

Share this article