Cosa c’è da sapere prima di parlare della ricerca sulla «sostanza naturale che blocca il coronavirus»

13/06/2020 di Redazione

Allora, chiariamo un attimo un paio di cose. Masticare rametti di liquirizia o prepararsi bruschette all’olio d’oliva non servirà affatto né a curare, né a prevenire il coronavirus. Occorre essere scrupolosi quando si parla di una ricerca portata avanti dall’Università Federico II di Napoli e dall’Università di Perugia in merito a sostanze naturali contro coronavirus. Prima di arrivare a conclusioni affrettate, insomma, sarebbe opportuno avere alcuni elementi per affrontare correttamente la discussione.

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Sostanze naturali contro coronavirus, cosa c’è da sapere prima di parlarne

Innanzitutto l’antefatto. Le due università stanno conducendo una ricerca su molecole endogene in grado di impedire l’ingresso del virus nelle cellule umane. Secondo Angela Zampella, direttore del Dipartimento di Farmacia dell’Università di Napoli Federico I, si tratterebbe di una sostanza completamente naturale, che sarebbe presente anche nella liquirizia e nell’olio d’oliva.

Questo, in sintesi, l’obiettivo su cui si è focalizzata la ricerca. Ora, gli argomenti che bisognerebbe conoscere prima di addentrarsi in questa discussione e utilizzare la ricerca stessa come un mantra contro le vaccinazioni e contro altri farmaci. Innanzitutto, si tratta di uno studio che, in quanto tale, ancora deve dare i suoi frutti. Inoltre, non è stato ancora pubblicato, ma risulta essere in fase di pre-print sul sito BioRxiv. L’abstract sostiene, tecnicamente, questo:

«I nostri risultati dimostrano che esistono numerosi potenziali siti di legame nella proteina SARS CoV-2 S e che l’occupazione di queste tasche riduce la capacità dell’RBD della proteina S di legarsi al consenso ACE2 in vitro. In particolare, gli steroidi naturali e clinicamente disponibili come gli acidi glicirretinici e oleanolici, nonché i derivati ​​degli acidi biliari glyco-UDCA e acido obeticolico hanno dimostrato di essere efficaci nel prevenire l’ingresso del virus in caso di bassa carica virale. Tutti insieme, questi risultati potrebbero aiutare a definire nuovi approcci per ridurre la carica virale usando gli inibitori dell’ingresso SARS-CoV-2».

Al momento, sono tanti gli studi sui metodi di cura del coronavirus e ancor di più sono quelli in fase di revisione precedente alla pubblicazione vera e propria. In secondo luogo, occorre sottolineare che l’ipotesi è quella di una concorrenza di fattori che potrebbe aiutare a ridurre la carica virale del coronavirus, soprattutto agli inizi del contagio.

Lo studio è, per stessa ammissione di chi lo ha condotto, soltanto una primissima fase di una stesura di un protocollo che deve essere approvato dall’Aifa (l’agenzia italiana del farmaco), che in un secondo momento si esprimerà in merito. Soltanto dopo aver dato per scontati questi aspetti, è opportuno addentrarsi nella discussione.

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