I software di sorveglianza di Pechino sui profili social contrari alla Cina

Lo ha raccontato il Washington Post, che negli ultimi giorni ha anche parlato di come la Cina abbia messo nel mirino gli influecer locali

02/01/2022 di Redazione

Il Washington Post ha inaugurato un’altra inchiesta giornalistica che riguarda il mondo del digitale. Nella fattispecie, la lente d’ingrandimento è finita sulla Cina, messa nel mirino per le sue policies nei confronti di chi, sia dall’interno, sia dall’esterno, utilizza i social network e le piattaforme digitali per comunicare. Nei giorni scorsi aveva parlato di provvedimenti nei confronti degli influencer che utilizzavano le piattaforme per promuovere prodotti o marchi, anticipando sanzioni di carattere economico e fiscale per le pratiche ritenute illecite. Ora, la panoramica è ancora più complessa, dal momento che la Cina starebbe mettendo in piedi un vero e proprio database di utenti di tutto il mondo che usano Facebook, Twitter e YouTube e che parlano in maniera negativa del Paese e dei provvedimenti che vengono presi al suo interno.

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Software monitoraggio pubblico in Cina, l’inchiesta del Washington Post

Il Washington Post ha visionato diversi documenti governativi frutto di quello che viene definito un software di analisi dell’opinione pubblica: il governo cerca progetti per raccogliere dati sull’opinione pubblica. Attraverso i social network, infatti, vengono vagliate le dichiarazioni non favorevoli al governo cinese suddivise per attori (determinate categorie come politici o giornalisti che si esprimono in toni non favorevoli rispetto ai desiderata dell’amministrazione centrale di Pechino) o per argomenti.

Secondo il WP, esisterebbe il progetto di un software da 320mila dollari che avrebbe il compito di creare un database di politici e docenti universitari anti-cinesi, così come un software da 216mila dollari per analizzare il dibattito pubblico su Hong Kong e Taiwan, o ancora un altro per monitorare tutti i contenuti relativi alla minoranza musulmana degli uiguri. È un po’ come se si stesse parlando di una nuova, l’ennesima, Cambridge Analytica, nonostante gli espressi divieti – diventati ancora più rigidi e severi in seguito allo scandalo che investì Facebook nel 2018 – delle piattaforme di effettuare uno scraping dei propri dati per scopi politici o – comunque – senza le dovute autorizzazioni.

I documenti analizzati dal Washington Post, invece, mostrano come queste indicazioni e questa ricerca di software legati a questi scopi risalgano già al 2020. L’obiettivo sarebbe quello di intercettare il sentimento anti-cinese, sia interno al Paese, sia esterno, in modo tale da trarne opportune conseguenze. Il monitoraggio dell’opinione pubblica rappresenta un elemento fondante di tutte le forze politiche. Quando questo si sposta da un semplice lavoro sul sentiment a una raccolta dati attraverso software che – tra l’altro – è ordinata da una forza politica che, di fatto, coincide con le istituzioni di una delle potenze mondiali il fenomeno sconfina in una zona grigia che è importante monitorare.

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