Anche nello smart working c’è discriminazione di genere

La discriminazione di genere non va mai in vacanza, nemmeno durante la pandemia. Nemmeno quando si lavora da casa. Questo è quanto emerge dal sondaggio della Cgil, che ha permesso di evidenziare tutte le criticità dello smart working così come si è diffuso durante la pandemia. Se prima era solo una fetta di popolazione irrisoria quella che lavorava in queste modalità, dal momento in cui è esploso il contagio si è reso necessario farlo per 8 milioni di italiani. Di questi, il 60% vorrebbe proseguire anche dopo la fine dell’emergenza ma la metà lamenta di non avere spazi dedicati. In particolare dall’indagine è emerso che ben il 65% delle donne sottolinea come non ci sia abbastanza condivisione del lavoro domestico e della cura dei figli.

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Lo smart working è «lavoro fordista dentro le mura di casa»

Così lo ha definito Susanna Camusso, ex segretaria generale della CGIL. Nonostante questa attivazione di smart working sia stata fatta – nella maggior parte dei casi – in maniera frettolosa, il 60% dei lavoratori afferma che vorrebbe lavorare in questa modalità anche dopo, a pato però che non sia tutti i giorni e non sempre da casa. A patto però che si regolamenti lo smart working per quello che è, come sottolinea il primo della Cgil Landini: «Nei nuovi contratti vanno affrontate tutte le questioni e i problemi che sono emersi sull’applicazione dello smart working, dalla formazione al diritto di disconnessione. Prevedere pause, fare distinzioni tra lavorare il giorno e la notte, di sabato e festivi, sui mezzi da utilizzare, evitare le discriminazioni di genere: bisogna allargare la contrattazione e fare in modo che tutte le modalità di lavoro, compreso lo smart working, siano regolamentate».

Come la vedono donne e uomini?

Dal sondaggio condotto su 6 mila persone, l’idea che emerge dello smart working è differente a seconda di chi è la fonte del giudizio. Uomini e donne la pensano diversamente, in molti casi, e alla base c’è discriminazione di genere sia nell’ambito lavorativo che all’interno delle mura domestiche. Per il 39% delle donne il lavoro da casa è più alienate, stressante e complicato – anche se per il 75% delle donne azzera l’opportunità di molestie sul lavoro. Considerato il preoccupante fatto fatto che per l’altro 25% le molestie possano continuare anche lavorando da casa, salta all’attenzione come – anche per gli uomini – lavorare da casa aumenti il senso di ansia, solitudine, incertezza sul futuro. C’è anche chi lamenta orari peggiori e il carico domestico che si aggiunge.

La discriminazione per le donne sia fuori che dentro casa

 

 

Per quanto riguarda l’utilizzo di strumenti e tecnologie informatiche, è stato rilevato come il possesso di computer forniti dall’azienda sia riservato agli uomini; le donne, nella maggior parte dei casi, utilizzano computer personali e/o in condivisione con le altre persone che abitano la casa. Anche per quanto riguarda il lavoro in casa, il carico maggiore cade sulle spalle della donna: «Il 68% delle donne lamenta che non c’è una maggiore condivisione del lavoro domestico anche se il 52% degli uomini ritiene che ci sia, bisognerebbe chiedere agli uomini cosa intendono per condivisione, è maggiore la condivisione del lavoro di cura dei figli ma per le donne si ferma al 45%», sottolinea Camusso. Un commento va anche, come giusto che sia, alla disparità di fornitura della strumentazione: «Anche sotto il profilo dell’innovazione tecnologica ci sono maggiori discriminazioni, in genere è più alta la quota di uomini con pc e altri strumenti di lavoro aziendali». Emerge anche come «le donne dispongono meno degli uomini di spazi dedicati in casa. D’altra parte, le lavoratrici sono quelle che si sono più attrezzate per acquisire le competenze necessarie».

(Immagine copertina da Pixabay)

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