Si fa presto a dire “Smart city”: la situazione italiana

Nel corso degli ultimi anni, anche alla luce del PNRR, investimenti sono stati fatti. Ma non tutto sta andando come previsto e i fondi sono spesso utilizzati per coprire solo una parte delle reali esigenze dei cittadini

14/07/2023 di Enzo Boldi

Le città intelligenti, quelle che nel presente devono mettere in piedi una serie di iniziative atte a rendere maggiormente semplificata la vita del futuro e la sua qualità, rappresentano uno degli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), creato a partire dai fondi del Next Generation EU. Nel corso dell’ultimo biennio, l’Italia ha iniziato a investire in modo sensibile (e, in alcuni casi, sistematico) nell’inseguimento di questo concetto di smart city. Ovviamente, il tutto è stato fatto in modo differente, in base alle esigenze territoriali, al tessuto urbano, alla geografia e alla densità abitativa. Finora, però, non tutto sta andando come previsto. Se da una parte c’è stata grande attenzione al ricorso di strumenti tecnologici e digitali, dall’altra sono stati messi in secondo piano una serie di altri problemi strutturali per la vita quotidiana dei cittadini.

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Stando all’ultimo rapporto dell’Osservatorio Smart City del Politecnico di Milano, questo mercato nel 2022 è aumentato del 23% rispetto alla rilevazione effettuata nel corso dell’anno precedente. In termini meramente economici, si parla di investimenti pari a circa 900 milioni di euro. Questo incremento è dovuto, soprattutto, all’arrivo di parte dei fondi del PNRR che hanno consentito a Comuni e Regioni di aumentare la soglia di investimenti in questo settore. Nello specifico, la sintesi del rapporto 2022 – pubblicato il 3 maggio del 2023 – recita:

«Il 39% dei comuni al di sopra dei 15.000 abitanti ha avviato almeno un progetto di Smart City nel 2022. Il 21% se si considera tutti i comuni italiani. E quasi tutte le amministrazioni che hanno avviato progetti negli ultimi anni (l’89%), vuole continuare a investire in nuove iniziative per la Smart City. Un dato che indica un alto grado di soddisfazione rispetto ai risultati ottenuti o, in ogni caso, una volontà di sviluppare ed approfondire ancora di più il percorso intrapreso. Progetti destinati ad aumentare in futuro: il 41% dei comuni afferma infatti di voler investire in iniziative di Smart City nel prossimo triennio». 

Dunque, sembra esserci una forte spinta nell’investimento per rendere le città più intelligenti. La maggior parte dei fondi investiti nel 2022, infatti, è andata a coprire alcuni settori: dalla smart mobility, allo smart building, passando per una analisi dei dati legati al turismo, alla mobilità e agli eventi in città.

Smart city, qual è la situazione in Italia

Investimenti, dunque, basati sull’evoluzione tecnologica e digitale trasformata in possibilità di realizzare progetti legati alla mobilità e alle nuove costruzioni. Infatti, come spiega l’Osservatorio, la maggior parte dei fondi utilizzati sono stati utilizzati per modernizzare il settore dell’illuminazione pubblica, ma anche per ampliare lo smart metering, ovvero la realizzazione di quei sistemi che permettono di portare la telelettura e la telegestione dei contatori di acqua, luce e gas nelle abitazioni. Energia che è uno dei punti di investimento, con le soluzioni sempre più rinnovabili che sono state implementate nel tentativo di ridurre (anche se la strada è ancora lunga) le emissioni di gas serra.

Il quadro, dunque, sembra essere molto positivo. Sicuramente, grazie al PNRR c’è stata una grande spinta verso la realizzazione di smart cities, ma la strada da percorrere è ancora lunga. Perché spesso e volentieri si pensa che il concetto sia esclusivamente legato alla digitalizzazione, alle nuove tecnologie a portata di cittadino e alla possibilità di interfacciarsi in modo più semplice e immediata con la Pubblica Amministrazione. Questo è vero, ma solo in parte. Perché i temi ambientali sono al centro del concetto di smart city. E se dal punto di vista delle fonti rinnovabili qualcosa si è mosso, c’è da sottolineare come ci siano dei problemi strutturali in alcune grandi città. L’esempio più emblematico di queste settimane arriva proprio dalla capitale. Roma è una città invasa dai rifiuti che spesso restano non raccolti – nonostante la differenziata diffusa in buona parte delle zone -, dai mezzi addetti a questa operazione di nettezza urbana. Questo provoca, oltre a un degrado visibile a occhio nudo, anche una percezione di approssimazione organizzativa da parte dell’amministrazione capitolina. Cosa c’entrano le smart cities? Tra le caratteristiche principali che differenziano una “città intelligente” da una non “smart” c’è anche quella relativa alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti.

La percezione dei cittadini

Una percezione tattile che viene confermata dai numeri di un sondaggio di opinione realizzato da Pepe Research per Intel. Da quella rilevazione appare evidente che buona parte dei cittadini italiani non ritiene di vivere all’interno di una smart city (un italiano su due non era a conoscenza del concetto), ma con le dovute differenze.

In una scala da 1 a 10, Milano è in testa con 6,2 punti. Roma, invece, è in coda (tra le città oggetto della rilevazione) con soli 4,3 punti. Nella capitale, infatti, oltre il 38% degli intervistati dice che la propria città non è per nulla “smart”. E le prospettive tra dieci anni migliorano la situazione, ma solo leggermente.

Leggendo questo sondaggio occorre sottolineare un aspetto: questa ricerca è datata 2022, quindi prima dell’aumento degli investimenti – grazie al PNRR – per la realizzazione di smart city. Qualcosa potrebbe essere cambiato, ma molto di quel che è rimasto stabile lo abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni.

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