La ‘sindrome della Capanna’: la difficile idea di tornare a una parvenza di normalità

04/05/2020 di Enzo Boldi

Ripartire. Una parola così semplice dall’esser stata utilizzata con tantissima facilità. La fase 2, in Italia, segna il ritorno a una parvenza di quotidianità nella vita di molti cittadini. Da oggi, infatti, molti cittadini sono alle prese con la ripresa degli spostamenti (dal lavoro ai congiunti, in tutte le loro declinazioni). Una boccata di ossigeno dopo 55 giorni (parlando a livello Nazionale) in cui c’è stata quella sensazione di essere ‘prigionieri’ delle proprie quattro mura. Ma se molti italiani stanno vivendo con entusiasmo – ma pur sempre con attenzione – tutto ciò, ce ne sono molti altri che pagano il riflesso di quanto accaduto nei quasi due mesi precedenti. Si tratta della cosiddetta Sindrome della Capanna.

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I timori e il disagio. Sono questi i ‘sintomi’ che molte persone – abbiamo parlato dell’esempio italiano vista la prossimità temporale, ma si tratta di un fenomeno a livello globale – hanno maturato in se stessi nel corso di questo lungo periodo di ‘quarantena’. Quel ‘essere costretti’ a non uscire di casa, a rimanere all’interno delle mura domestiche – compreso il confort di una vita in tuta e pigiama, impossibile da sostenere in temi di normalità – ha acuito quell’istinto all’auto-protezione dai fattori esterni. In questo caso, si parla del virus.

La sindrome della Capanna, cos’è e che c’entra il Coronavirus

Le regole sociali stanno cambiando e cambieranno ancora per un po’. Il Coronavirus ha provocato immensi cambiamenti rispetto alla quotidianità che conoscevamo fino allo scorso anno. Modifiche non richieste, ma dettate da fattori esterni che hanno provocato uno stress che è passato dalla costrizione fisica a quella mentale. Il tutto condito dalle incertezze: pensare di riprendere una vita (parzialmente) normale mentre ancora c’è un virus in giro, certamente, non aiuta a pensare positivamente.

Allergici ai cambiamenti

Si chiama Sindrome della Capanna (o del prigioniero). Un qualcosa che interviene a livello psicologico, come ha spiegato a Vice Laura Guaglio, psicologa e specializzata in gestione e superamento di eventi traumatici: «L’idea di sentirsi a disagio in una situazione che prima era percepita come la normalità può creare in noi un senso di inadeguatezza. Ci si domanda ‘Come mai prima riuscivo (a uscire) e adesso no?’. La differenza sostanziale è che adesso la persona è stata sottoposta a un evento stressante che, nel bene o nel male, ha modificato il suo modo di comportarsi, di vedere le cose. Probabilmente è una modifica temporanea, ma bisogna prenderne atto». Un pensiero che ricorda, molto da vicino, le teorie sullo stress post traumatico dei militari dopo le missioni di pace in teatri di guerra.

(foto di copertina: da Pixabay)

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