Abbiamo intervistato il sindaco che vuole ‘abolire’ le chat dei genitori (e non solo delle mamme) su WhatsApp

Gigi Littarru è il sindaco di Desulo, in Sardegna

02/09/2020 di Redazione

Ieri, Gigi Littarru – il sindaco di Desulo, un comune di circa 2mila abitanti in provincia di Nuoro – si è messo al pc e ha scritto quella che, al lettore più disattento, è sembrata una vera e propria ordinanza comunale. L’obiettivo? Fare una provocazione, presentandosi come il sindaco che abolisce le chat WhatsApp delle mamme.

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Sindaco abolisce chat WhatsApp, la provocazione su Facebook

Il testo è esilarante: con le formule tipiche del burocratese (la sfilza dei ‘considerato’, dei ‘preso atto che’, dei ‘constatato che’) e con l’impaginazione tipica dei documenti ufficiali, il primo cittadino ‘ordinava’ «Alle mamme, zie e nonne il divieto di utilizzo degli attuali gruppi medesimi nonché il divieto assoluto di creare nuovi cosiddetti “gruppi mamme” o analoghi», con questa conseguenza: «La violazione della presente ordinanza sarà punita con il sequestro dello smartphone e con la sospensione dell’account Whatsapp fino al termine dell’anno scolastico». Ordinanza, secondo il sindaco, inappellabile davanti al Tar perché «il sindaco ha sempre ragione».

Sindaco abolisce chat WhatsApp, l’intervista a Gigi Littarru

Giornalettismo, che nell’ultimo periodo ha visto chat WhatsApp riempirsi di qualsiasi cosa (è il caso della bufala sul TSO per gli studenti con la febbre che si è diffusa proprio grazie al servizio di messaggistica), ha voluto parlare con il sindaco di Desulo, per capire come è nata questa provocazione.

«Faccio una premessa – ci dice Gigi Littarru -, anche io utilizzo i social network per le comunicazioni con i miei concittadini. Spesso i social network sono utili per veicolare messaggi, soprattutto in un centro come Desulo, di circa duemila abitanti. Però le chat WhatsApp, dove ognuno dice la sua parlando per sé, stanno diventando una questione molto seria da affrontare. Un sindaco di un paese vicino mi ha fatto riflettere. Mi ha detto che, con l’inizio dell’anno scolastico, sarebbe stato tutto un fiorire di chat WhatsApp cariche di messaggi contraddittori, di attacchi ai sindaci e alle istituzioni della scuola. “Bisognerebbe abolirle” – mi ha detto. Questo mi ha dato lo spunto per scrivere quell’ordinanza scherzosa».

Il problema però è molto serio, nonostante i toni ironici che sono stati utilizzati: «Gli italiani non leggono più. Si limitano alla prima riga. Viene meno, insomma, quell’attenzione e quel criterio di discernimento che ci fa capire quando la notizia è un fake e quando, invece, è vera. Bisognerebbe rivalutare i canali ufficiali di comunicazione: le chat dove partecipano tutti, senza un coordinatore, possono essere molto pericolose».

Gigi Littarru fornisce esempi a iosa. Parla di una chat dei 377 sindaci della Sardegna che durante il lockdown era letteralmente fuori controllo: «Miei colleghi primi cittadini, esasperati, chiedevano di uscire dal gruppo e di ricevere le notizie in modo diverso. Il coordinatore dei sindaci ha dovuto stilare una lista dove era possibile ricevere le varie comunicazioni, senza commentarle». Ma si possono citare anche casi più recenti: «In un paese del Nuorese, l’Asl aveva comunicato al comune la presenza di due cittadini positivi. Qualcuno ha pensato bene di fotografare quella comunicazione riservata e di girarla su WhatsApp: in breve tempo, i due giovani malcapitati erano stati additati come untori e si era diffuso un panico incontrollato. Queste cose non sono più tollerabili».

E allora, il sindaco invita a riscoprire il valore della comunicazione tradizionale, fatta dai professionisti dell’informazione: «Mi rendo conto che nei piccoli comuni, dove mancano organi di informazione, ci sia la tendenza al fai-da-te. Ma chi disciplina i rapporti tra i comuni, dovrebbe proporre un organo di informazione ufficiale per ogni municipio. Sarebbe utile un intervento dell’ANCI in questo senso o, nel caso della Sardegna, della regione a statuto speciale».

Infine, un piccolo chiarimento, proprio per spazzare via ogni dubbio sul testo della sua “ordinanza su Facebook”: «Lì si parlava di gruppi di mamme. Ma mi riferivo anche ai papà che sono presenti in quei gruppi o che, pur non essendo presenti, dicono la loro. A volte senza nemmeno attingere personalmente a quelle notizie, vere o false, che si diffondono nelle chat. Estendo l’appello a tutti i genitori, per completezza».

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