Il ruolo dell’evangelizzazione ai tempi dell’AI
La Settimana della Comunicazione che si sta per inaugurare (5-12 maggio) è l'occasione per riflettere sul ruolo dell'intelligenza artificiale in un mondo in cui è necessario diffondere messaggi "umani"
03/05/2024 di Gianmichele Laino

«Non siate professionisti del digitare compulsivo, ma creatori di novità». Nel suo discorso rivolto ai giovani del Triveneto lo scorso 28 aprile, Papa Francesco ha nuovamente sottolineato e rimarcato quale ruolo debbano avere gli strumenti digitali, come l’intelligenza artificiale, nel rapporto comunicativo tra esseri umani. C’è una differenza che viene individuata in questo appello: è quella che passa tra una dipendenza dalla tecnologia e dall’utilizzo consapevole della tecnologia per creare qualcosa di nuovo e – allo stesso tempo – profondamente umano. La Settimana della Comunicazione che ricorre tra il 5 e il 12 maggio 2024 ha come tema proprio il binomio “intelligenza artificiale e sapienza del cuore”. Le riflessioni che caratterizzeranno questo appuntamento molto partecipato dai cattolici saranno improntate anche a capire quale ruolo possa avere l’intelligenza artificiale nell’evangelizzazione, in un tempo – quello che stiamo attraversando – particolarmente complesso sia per la definizione delle relazioni interpersonali, sia per la capacità di approfondire i messaggi, senza fermarsi alla superficie.
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Settimana della Comunicazione e AI, quale prospettiva per l’evangelizzazione
La Chiesa ha sempre mostrato una particolare attenzione verso le innovazioni tecnologiche. Non si è tirata indietro, ad esempio, nell’affrontare le sfide dello sbarco sui social network, a partire dal primo tweet di papa Benedetto XVI (per continuare poi con la prima pubblicazione su Instagram firmata papa Francesco). Non ha esitato, in Italia, a mettere in piedi il servizio informatico della Conferenza Episcopale Italiana. Si è lanciata, molto prima di altre strutture mediatiche, in quella che può essere definita una vera e propria media house (la riforma che ha portato all’organizzazione di Vatican News). Ha aperto, nelle università cattoliche, corsi di specializzazione e di formazione nell’alfabetizzazione digitale e nella comunicazione innovativa.
Adesso, il mondo cattolico si sta interrogando sulle possibili applicazioni dell’intelligenza artificiale. A ben guardarla sembra uno strumento distante anni luce da quell’attenzione verso l’umanesimo che caratterizza qualsiasi forma di spiritualità. L’intelligenza artificiale è calcolo, è raziocinio, è misura basata sul dataset, non ha alcuna familiarità con l’atto di fede. Per quanto l’intelligenza artificiale possa sintetizzare un testo sacro, possa riportare – pronte all’uso – le risposte del catechismo, possa addirittura realizzare autonomamente il testo di un’omelia (come è già successo lo scorso anno in Germania e in Austria), non può sostituire in alcun modo – come in altri campi – il contatto umano. È forse questa l’interpretazione da dare alle parole dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini, che ha parlato delle omelie scritte con ChatGPT. Le ha definite «non un testo, ma una testimonianza, frutto di un rapporto e di una interpretazione personale della parola di Dio».
Non dobbiamo immaginare l’intelligenza artificiale come il modo per stravolgere il rapporto tra mittenti e destinatari del messaggio, anche perché – come ha dimostrato in altri campi – l’AI presenta ancora dei significativi margini d’errore e, comunque, non può considerarsi senziente, empatica, umana. Sono proprio queste tre caratteristiche a rendere unica la comunicazione spirituale: per quanto esistano scorciatoie per una trasmissione rapida del messaggio, sarà difficile – anche attraverso i più recenti ritrovati tecnologici – usare l’AI per una consapevole evangelizzazione.