Sea Watch, lo straziante appello dei migranti: «Fateci sbarcare, sembra di stare in prigione»

«Non ce la facciamo più, qui siamo come in prigione, aiutateci a sbarcare presto, a mettere i piedi giù da questa barca». È l’appello lanciato da uno dei 42 migranti a bordo della nave Sea Watch 3, che si trova da 13 giorni al confine con le acque territoriali a 16 miglia circa dall’isola di Lampedusa. “Siamo tutti stanchi, esausti, stremati – dice uno di loro in un video della Ong postato sulla pagina Facebook del ‘Forum Lampedusa solidale’ – pensate a una persona appena uscita di prigione e fuggita dalla Libia, che ora si trova qui seduta o sdraiata. Immaginatevi come debba sentirsi questa persona».

Update from Sea-Watch 3

(DE/EN) Vor sieben Tagen appellierte Hermann an die Solidarität der Europäer*innen. Seitdem hat sich die Situation für die 42 Menschen, die weiterhin auf der Sea-Watch 3 festsitzen, weiter verschärft. Nachdem sie den libyschen Foltergefängnissen entkommen sind, verweigert die EU ihnen seit 12 Tagen ihre Menschenrechte.Hermann gibt uns einen Überblick über die Bedingungen an Bord: "Wir können das nicht mehr aushalten, wir sind von allem abgeschnitten, wir können nichts tun, wir können nicht einmal gehen, ein bisschen weiter gehen, weil das Boot klein ist und wir viele sind. Es gibt keinen Platz mehr.“ Sie brauchen sofort einen sicheren Hafen.—–Seven days ago Hermann addressed the Europeans to call on their solidarity. So far the situation worsened for the 42 people still stuck on the Sea-Watch 3. Having escaped the Libyan torture prisons, the EU deprives them of their basic human rights for 12 days now.Hermann gives us an overview of the conditions on board: «We cannot hold any longer, we are deprived of everything, we cannot do anything, we cannot even walk, go a bit further, because the boat is small and we are plenty, there is no more space». They urgently need a Port of Safety.

Gepostet von Sea-Watch am Montag, 24. Juni 2019

Un migrante sulla Sea Watch: «Aiutateci, qui manca tutto»

I migranti sottolineano che a bordo «manca tutto, non possiamo fare niente, non possiamo camminare né muoverci perché la barca è piccola mentre noi siamo tanti. Non c’è spazio. L’Italia si rifiuta di farci approdare», proseguono. «Chiediamo l’aiuto delle persone a terra, qui non è facile, non è facile stare su una barca piccola. Per favore – concludono i migranti – non ci lasciate qui così, non ce la facciamo più».

La capitana della Sea Watch: «Forzo il blocco ed entro in acque italiane»

In un’intervista rilasciata a Repubblica, la capitana tedesca della Sea Watch, Carola Rackete, sembra avere le idee chiare: «Io voglio entrare. Entro nelle acque italiane e li porto in salvo a Lampedusa. Sto aspettando cosa dirà la Corte europea dei diritti dell’uomo. Poi non avrò altra scelta che sbarcarli lì». Rackete rischia l’accusa per favoreggiamento all’immigrazione clandestina, di associazione a delinquere, una multa e la confisca della nave.

«Io sono responsabile delle 42 persone che ho recuperato in mare e che non ce la fanno più. Quanti altri soprusi devono sopportare? La loro vita viene prima di qualsiasi gioco politico o incriminazione. Non bisognava arrivare a questo punto», afferma la capitana. Quanto alla condizione dei naufraghi, Rackete dice: «Sono disperati. Qualcuno minaccia lo sciopero della fame, altri dicono di volersi buttare in mare o tagliarsi la pelle. Non ce la fanno più, si sentono in prigione. L’Italia mi costringe a tenerli ammassati sul ponte, con appena tre metri quadrati di spazio a testa».

A bordo ci sono anche minorenni, «tre ragazzi di 11, 16 e 17 anni. Non stanno male, ma in Libia hanno subito abusi – racconta Rackete -. Il 14 giugno ho fatto richiesta al Tribunale dei minorenni di Palermo perché prendesse in carico il loro caso. Non mi ha risposto nessuno».

[CREDIT FOTO: ANSA/Elio Desiderio]

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