«Chi blocca su Facebook lo fa per i contenuti, su Instagram invece si cerca di proteggere la propria immagine»

L'intervista a Sara Marazza, Digital PR Strategist per l'Italia di Time2Play. Ci ha spiegato il contesto in cui è nata la sua ricerca e i criteri che l'hanno guidata

30/01/2023 di Redazione Giornalettismo

A volte, i dati di una ricerca hanno bisogno di quel calore umano che solo l’esperienza diretta sa dare. Per questo i numeri non vanno soltanto raccontati, ma vanno anche contestualizzati. Sara Marazza, Digital PR Strategist per l’Italia di Time2Play, ha condotto la ricerca sugli utenti di Instagram e Facebook che hanno l’abitudine di bloccare i familiari per evitare il loro accesso a determinati tipi di contenuti: dalla sua viva voce apprendiamo sia come sono stati raccolti i pareri di mille intervistati, sia quali coincidenze si possono ritrovare nelle esperienze dirette che ha avuto quando ha affrontato l’argomento.

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Sara Marazza ci spiega come ha condotto la ricerca sugli utenti che bloccano i parenti su Facebook e su Instagram

«Il contesto in cui nascono questi studi è internazionale – spiega ai microfoni di Giornalettismo -. Il tema è stato affrontato per la prima volta negli Stati Uniti. I risultati delle indagini che erano emersi erano super interessanti: per questo ho voluto riproporre il topic anche per l’Italia, scegliendo un periodo dell’anno molto preciso, quello successivo alle vacanze di Natale. Le domande che mi stuzzicavano erano: cosa succede dopo il pranzo in famiglia? Quello che avviene a tavola ha un effetto sui social network?».

I risultati della ricerca statunitense, sebbene rilevati su una platea decisamente più ampia rispetto a quella italiana, sembrano sovrapponibili o – quantomeno – vicini alla nostra realtà locale. Il 54.8% degli utenti Facebook americani ha dichiarato di aver bloccato almeno un parente sul social network (il 25.8%, invece, lo ha fatto per quanto riguarda Instagram), percentuale che diventa molto più alta tra i Millennials, che – negli Stati Uniti – hanno indicato come ragione primaria del blocco la condivisione, da parte dei familiari, di contenuti che incitano all’odio, tossici, problematici, distanti dalle loro posizioni politiche o vere e proprie fake news. Diverse, invece, le motivazioni che hanno spinto anche gli utenti americani a bloccare su Instagram, molto più legate – invece – alla gestione della propria vita privata.

Per quanto riguarda la ricerca italiana, Sara Marazza ha individuato una ulteriore specificità: quella del blocco sui social che ha fatto seguito a una particolare occasione di convivialità come può essere un pranzo in famiglia. «È interessante – spiega – che dopo Natale o dopo una festività si blocca più su Instagram che su Facebook». Il tasso di incidenza del blocco sulla platea che usa Instagram, sebbene minore in termini assoluti rispetto all’ecosistema Facebook, è molto più penetrante. La GenZ, infatti, tende a tutelare molto di più la propria sfera personale, cercando di impedire ai familiari l’accesso a contenuti legati alla propria vita privata.

È un tema che deve essere preso in considerazione e che può riguardare – più o meno marginalmente – anche chi con i social lavora, come le agenzie di influencer marketing: «Sicuramente, il comportamento diverso per fasce d’età va preso in considerazione: attraverso questi studi, andando ad analizzare i dati per genere e fasce d’età e basandosi sulle tipologie delle risposte, si incrociano degli elementi che possono essere utili a chi produce contenuti sui social network. I Millennials sono quelli che hanno bloccato di più in assoluto. E anche le loro motivazioni sono da prendere in considerazione: su Instagram si nota una percentuale minore di persone che hanno indicato come motivo del blocco i contenuti basati sull’odio, contenuti religiosi e politici, mentre su Facebook questi ultimi aspetti sono all’origine della maggior parte delle operazioni di blocco dei contenuti. Chi si occupa di costruire una campagna sui social network non può non prendere in considerazione la diversificazione di comportamenti a seconda degli strumenti utilizzati».

Com’è stata condotta la ricerca sul blocco sui social

La ricerca è stata condotta attraverso una piattaforma che ha raccolto i dati e li ha messi insieme: «Noi utilizziamo una piattaforma, Prolific, che targettizza in partenza gli utenti: ho avuto la possibilità di scegliere sia il numero delle persone che hanno risposto, sia il genere (uomini e donne in egual numero), ma anche la località e l’utilizzo dei social network: attraverso questa piattaforma ho ricevuto le risposte di 1000 utenti e poi ho analizzato i dati. Ma, anche per esperienza diretta, confermo i risultati di questa ricerca. Io sono millennial e le persone con cui parlo sono millennials che hanno vissuto situazioni del genere. Se posso aggiungere qualcosa ai risultati della ricerca, empiricamente posso dire che nella vita reale, Millennials e GenZ tendono innanzitutto a nascondere post, mettere in pausa, anziché bloccare. Perché quest’ultimo elemento è visto come eccessivo, una sorta di paura per la reazione dell’altro che ci si porta dietro. Le persone con cui parlano sostengono che una delle motivazioni principali per limitare i contenuti è quella di essere taggati in post o commenti che non interessano. Molto usata è anche l’opzione di non poter essere taggati sulla propria bacheca: molti tendono a farlo per evitare i messaggi di buongiornissimo o per ricevere gli auguri di buon onomastico».

Ovviamente, la ricerca è stata molto inclusiva e ha cercato di rivolgersi anche a quegli utenti non particolarmente skillati con le varie possibilità di limitazione degli account su Facebook o su Instagram. Un aspetto, tuttavia, accomuna sia chi utilizza le tecniche più particolari, sia quelle di più immediato utilizzo per contenere la diffusione di un proprio post: «Si sa – chiude Sara Marazza – che quanto viene pubblicato sui social può creare discussioni e tensioni in famiglia. C’è una paura reverenziale rispetto al pettegolezzo. E, forse, si teme anche che un intervento a sproposito di una persona a noi vicina possa rovinare l’immagine limpida e gioiosa che ci siamo costruiti sui social network».

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