Cinque minuti: questo sarebbe il lasso di tempo necessario per riconoscere un volto sconosciuto. Questo è ciò che è successo a Hussein Mezhidov, un militare russo il cui nome sarebbe stato identificato grazie ad una ricerca partita dallo screenshot del suo viso. Ma al di là del motivo – oggi la guerra russo-ucraina – per cui si tenta di risalire al nome di una persona, il riconoscimento facciale è legittimo o vietato? Che ne sarà della privacy?
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Per associare il nome al viso di un militare russo sarebbe bastato uno screenshot ed un’ora di lavoro, ma ciò è legittimo? Ramzan Kadyrov, leader della Cecenia, pubblica un breve video su Telegram in cui un soldato si trova davanti a una fila di carri armati, assicurando ai cittadini ucraini che le truppe russe non puntano i civili e che Putin vuole lasciare loro, e al loro paese, la libertà che meritano. In Francia, l’amministratore delegato di Tattica Systems, società di addestramento militare e delle forze dell’ordine, ha screenshottato il viso del soldato e ha provato ad individuarne il nome. In un’ora, servendosi dei servizi di riconoscimento facciale disponibili online a tutti, ha scoperto che il soldato era, probabilmente, Hussein Mezhidov (e ne ha trovato anche l’account Instagram), un comandante ceceno vicino a Kadyrov coinvolto nell’invasione russa in Ucraina. Il CEO di Tattica Systems ha dichiarato che: «semplicemente avendo accesso a un computer e a Internet, puoi sostanzialmente essere come un’agenzia di intelligence di un film».
Russia e Ucraina sono due nazioni esperte di Internet e hanno una buona copertura cellulare. La guerra, allora, si trasforma in una possibilità di guadagno per l’intelligence «open source». Associazioni strategiche di dati, post sui social media e altre fonti pubbliche, sono oramai in grado di rivelare l’ubicazione di un utente o il numero di morti durante un conflitto militare. Tempo fa, se un militare o un prigioniero di guerra apparivano in un telegiornale, avrebbero potuto essere riconosciuti solo da amici e parenti o da esperti militari e dell’intelligence. Oggi, il riconoscimento facciale diventa uno strumento molto pericoloso perché un qualsiasi sconosciuto, vicino o lontano, può servirsi di uno screenshot che ritrae il viso di una persona per individuarne il nome e, conseguentemente, altre informazioni sulla sua vita e famiglia.
I regolamenti sono diversi da Stato a Stato – per esempio negli Stati Uniti è stato deciso che ogni Stato adotta la propria regolamentazione – ma nella maggior parte dei paesi il riconoscimento facciale è vietato. Nel nostro paese, il Parlamento ha approvato il testo di conversione in legge del Decreto Legge Capienze n. 139/2021. Tra i vari emendamenti è stato inserito quello proposto da Filippo Sensi, il quale richiedeva una sanzione per chi utilizzasse i sistemi di riconoscimento facciale in Italia. In Italia, dunque, è vietato tecnologie di riconoscimento facciale nei luoghi pubblici e aperti al pubblico, a pena di moratoria. Il motivo è riconducibile alla sicurezza e la privacy di ogni singolo cittadino.
Il riconoscimento facciale non è utilizzabile, dunque, né da autorità pubbliche né privati in luogo pubblico, ma la legge fa salva la possibilità di utilizzare questi sistemi per prevenire e reprimere i reati o per l’esecuzione di sanzioni penali. L’Europa, e anche l’Italia, attendono il testo finale del GDPR (General Data Protection Regulation), che dovrebbe introdurre precise limitazioni alla diffusione dei sistemi di riconoscimento facciale nei contesti pubblici.
Risale al 3 marzo 2021 l’interrogazione parlamentare della ministra Lamorgese, in risposta ai parlamentari del PD Enrico Borghi e Filippo Sensi sull’uso del «sistema Sari», nella quale la ministra dell’Interno ha spiegato che le forze dell’ordine del nostro paese non utilizzeranno il riconoscimento facciale («sistema Sari») – che permette di confrontare il volto di una persona segnalata con le foto dell’archivio Afis -, per controllare i migranti. Il sistema risulta essere solo di supporto alle attività investigative dei carabinieri e della polizia di stato e non viene, invece, utilizzato dalla polizia delle frontiere e dalla direzione centrale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione nell’ambito dei flussi migratori.