Prosegue la lotta dell’Australia contro il riconoscimento facciale nei negozi di vendita al dettaglio

I consumatori australiani si sono scagliati contro catene di vendita al dettaglio che, a loro dire, utilizzano il riconoscimento facciale in maniera troppo invasiva

27/06/2022 di Ilaria Roncone

Il riconoscimento facciale utilizzato nei supermercati e nei negozi è una tematica che fa discutere già da un po’ di tempo. Stavolta siamo in Australia, dove tre tra le più grandi catene di vendita al dettaglio sono state citate dall’autorità per la regolamentazione della privacy dopo che un gruppo di consumatori ha definito il loro utilizzo della tecnologia «irragionevolmente invadente» e ingiustificato con i clienti. Ad essere coinvolte sono la catena di elettrodomestici di JB Hi-Fi Ltd The Good Guys, quella di hardware Bunnings e il rivenditore di big-box Kmart.

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Il reclamo per l’utilizzo del riconoscimento facciale invandente

La denuncia è stata esaminata dall’OAIC, Office of the Australian Information Commissioner, che ha esaminato la questione. Secondo il direttore operativo di Bunnings la tecnologia sarebbe stata utilizzata solo in ambito sicurezza dopo «un aumento del numero di interazioni impegnative che il nostro team ha dovuto gestire». Amy Pereira, consulente per le politiche di CHOICE (l’associazione di consumatori che ha denunciato) non ha esitato a parlare di «rischi significativi per le persone» comprendenti – come riporta Reuters – «invasione della privacy, identificazione errata, discriminazione, profilazione ed esclusione, nonché vulnerabilità alla criminalità informatica attraverso violazioni dei dati e furto di identità».

L’invito di CHOICE all’autorità per la regolamentazione ella privacy è quindi quello a «indagare ulteriormente sulla questione e prendere in considerazione l’adozione di azioni esecutive contro Kmart, Bunnings e The Good Guys per il mancato rispetto dei loro obblighi ai sensi della legge sulla privacy». L’associazione è già scena in campo in passato per questioni simili: nel 2021, ad esempio, ha ottenuto che 7-Eleven distruggesse i dati ottenuti tramite riconoscimento facciale in oltre 700 punti vendita nell’ambito di sondaggi tra i clienti. Anche il gigante Usa Clearview AI, che raccoglie immagini da siti web di social media per creare profili di persone, è stato invitato a distruggere tutti i fati degli australiani e a smettere di agire nel paese.

Il punto è anche che le informazioni sono state raccolte senza consenso dei clienti e in maniera non chiara ed esplicitata come dovuto. Sono stati solo alcuni i negozi che avvisavano – tramite un cartello – i clienti rispetto a ciò che stava succedendo ma, secondo CHOICE, «il silenzio dei clienti non può essere considerato un consenso» e molto di loro non avrebbero avuto altre possibilità per fare questi acquisti.

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