Recovery Fund: perché in Europa il sovranismo ha già vinto, anche a sinistra

Nel ‘900 l’avremmo chiamata “egemonia culturale”. Termine ostico, usato da Antonio Gramsci, per definire il processo tramite il quale una classe, una fazione politica o un gruppo di potere, riesce a inculcare il proprio credo e il proprio sistema di valori ad altri gruppi,  fino alla loro completa interiorizzazione. Eppure, non c’è forse tuttora concetto più appropriato per spiegare un vertice europeo tormentato, sempre più piegato dai risentimenti nazionali, anche se i sovranisti veri sono, in larga parte, a casa. Un’Europa di piccole patrie, molto distante dal sogno dei suoi fondatori.

Mentre scriviamo ancora non sappiamo come andrà a finire lo stallo creato dalla contrapposizioni tra i cosiddetti “paesi frugali” e il blocco del Sud Europa, sappiamo che l’oggetto della contesa è l’erogazione, o meno, di parecchi miliardi a fondo perduto per la ripresa di una UE flagellata dalla Pandemia di Covid-19. Un progetto che Austria, Olanda, Danimarca, Svezia e (ora) anche Finlandia tendono a ridimensionare, spostando l’asse sui “prestiti” piuttosto che sui finanziamenti incondizionati e insistendo su una ferrea governance europea in grado di tenere a bada le “cicale” del Sud Europa. La narrazione è quella, a noi abbastanza famigliare, di un Nord parsimonioso contro un Sud spendaccione, corrotto e lassista che i paesi virtuosi finanzierebbero con i loro risparmi. Una narrazione che non ha molto senso nel contesto attuale.

La fantomatica somma di 750 miliardi di euro verrebbe ottenuta dall’emissione di bond sui mercati internazionali, ovvero obbligazioni europee garantite dalla Commissione, un’immissione importante di liquidità e risorse mentre ci si appresta a una recessione epocale. Il piano si chiama, non a caso “Next generation EU” e, Covid-19, a parte, è un passo fondamentale per le sfide enormi che la nostra società è chiamata ad affrontare come transizione ecologica e digitalizzazione.  Un passo impossibile senza la presenza di una forte entità pubblica in grado di realizzare investimenti ingenti. Sì, perché mentre in Europa si guarda alle discipline di bilancio e alle diatribe provinciali di un Continente sempre più piccolo, il mondo corre e, ad est, si progetta un qualcosa chiamato “Nuova Via della Seta”.

Se i leader socialdemocratici ed europeisti diventano “sovranisti”

Se poi si guarda al curriculum e alla provenienza politica di molti dei Paesi che stanno minacciando di far saltare il banco, si capisce che un’epoca politica è forse tramontata per sempre. Dei cinque leader dei cosiddetti paesi frugali, solo il leader austriaco è un conservatore di destra di simpatie sovraniste. I leader di Svezia, Danimarca e Finlandia sono socialdemocratici, esponenti del Partito Socialista Europeo. Il premier olandese Rutte è un liberale membro dell’Alde (Partito dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa). Insieme questi quattro leader dovrebbero essere i garanti dell’europeismo e del progetto europeo, nella pratica si comportano come la destra sovranista,  molto attenti alle loro piccole patrie e al loro consenso interno, molto meno al progetto comune. E i tempi del vecchio internazionalismo novecentesco sembrano ormai preistoria, soppiantati dalle sirene del pensiero unico neoliberale e dalle pulsioni sovraniste che purtroppo sembrano predominare anche tra i cosiddetti “europeisti”

Quel che è certo è che questo vertice è l’ennesimo punto di snodo di una Unione che si è dimostrata, in questi anni difficili, molto distante dal sogno europeo,  partorito nell’esilio di Ventotene da Altiero Spinelli, o da quello di padri come Jean Monnet o Robert Schuman. E,  dallo sprofondo finanziario del 2008 al passo falso della crisi greca, fino al lassismo sulla tragedia dei migranti, sono molte le occasioni mancate di un’Unione Europea che non è mai apparsa così in crisi. Quello di questi giorni è l’ennesimo appuntamento con la Storia. E un passo falso potrebbe avere, questa volta, conseguenze davvero imprevedibili. Per tutti.

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