Un paio di considerazioni sul «pusher rimesso in libertà perché spacciava per necessità»

Nella giornata di ieri, ha fatto il giro del web un articolo proposto dalla testata Il Giornale, che ha aperto l’edizione cartacea del quotidiano e che ha dato ottimi risultati – in termini di viralità sui social network – sul web. Un pusher gambiano, Buba C., sarebbe stato «rimesso in libertà», dopo essere stato arrestato, «perché spacciava per necessità». Nella sentenza dei giudici del tribunale del riesame, infatti, si leggeva che la decisione è stata presa perché non avendo «(…) alcun provento derivante da attività lavorativa, lo spaccio appare l’unico modo per mantenersi».

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Pusher liberato a Milano, l’articolo a cui Il Giornale ha dato ampio risalto

I giudici del tribunale del riesame di Milano hanno deciso che la misura cautelare più adatta alla circostanza di cui il pusher gambiano si è reso protagonista sarebbe stata il divieto di dimora all’interno di tutto il territorio del comune di Milano, in modo tale da allontanarlo dal contesto all’interno del quale ha operato.

Ovviamente, la notizia – presentata con toni alti di indignazione – ha provocato una reazione piuttosto scomposta nell’utente medio del web, che ha definito ingiusta la decisione del tribunale del riesame e ha, come al solito, generalizzato l’accaduto, estendendo le proprie critiche a tutti i migranti e a tutti gli stranieri arrivati in Italia.

Pusher liberato, alcuni chiarimenti sulla decisione del tribunale del riesame

Bisogna, tuttavia, fare delle considerazioni – come correttamente riportato dal portale di debunking bufale.net – che chiariscono meglio il contesto della decisione. Innanzitutto, bisogna spiegare a chi non ha particolare dimestichezza con gli iter della giustizia, che la decisione del tribunale del riesame non costituisce una cancellazione di una pena precedentemente assegnata a chi ha commesso un reato. Ma si tratta di un organo che si occupa delle misure cautelari, come previsto dall’articolo 309 del codice di procedura penale.

Mentre, cioè, si stanno portando avanti le indagini sul presunto reato commesso dal gambiano, il tribunale del riesame ha stabilito, in seguito a una serie di circostanze, che la detenzione in carcere sia una misura sproporzionata rispetto al reato contestato. In effetti, i giudici hanno affermato che il quantitativo di droga spacciata era inferiore a quello che avrebbe giustificato la misura cautelare del carcere e che il fatto di non avere una fonte di reddito, rientra in tutte quelle circostanze che vengono prese in considerazione dai giudici per valutare il caso.

Non si tratta ancora di una sentenza, insomma. Per quella ci sarà tempo e per lo spaccio potrebbe anche prevedere una pena detentiva. Al momento, però, l’allarmismo complottista diffuso da questa notizia – battuta in questo modo da un importante organo di stampa italiano – non sembra essere giustificato.

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