Primarie democratiche e repubblicane Usa 2016, i risultati: vincono Clinton e Trump

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Martedì 8 novembre 2016 si svolgeranno le elezioni per eleggere il quarantacinquesimo presidente statunitense. Sfida tra democratici e repubblicani

PRIMARIE USA 2016

Il primo febbraio del 2016 è iniziato il percorso delle presidenziali che porterà all’elezione del quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America. Le primarie repubblicane e democratiche hanno individuato in Hillary Clinton e Donald Trump i due principali candidati alla successione di Barack Obama, che non può più correre per il vincolo costituzionale del doppio mandato. La mancanza del capo dello Stato rende tradizionalmente incerte , e nel 2016 si registra una rilevante inquietudine dell’elettorato americano che si è rispecchiato nei boom mediatici di candidati con profili inconsueti come il miliardario Donald Trump tra i Repubblicani e il senatore socialista Bernie Sanders tra i Democratici.



I RISULTATI DELLE PRIMARIE REPUBBLICANE 2016

Donald Trump ha vinto le primarie repubblicane ottenendo oltre 13 milioni di voti, più che doppiando il secondo arrivato, il senatore del Texas Ted Cruz. Un successo molto chiaro, costruito sin dalle primarie in New Hampshire e South Carolina, proseguito nei numerosi successi nel Sud degli Stati Uniti fino alla trionfale marcia nel Nordest che l’ha portato alla nomination.

I RISULTATI DELLE PRIMARIE DEMOCRATICHE 2016

Hillary Clinton ha conquistano il successo nelle primarie democratiche con circa mille delegati di vantaggio su Bernie Sanders. La prima candidata a ottenere la nomination ha conquistato poco meno di 400 delegati elettivi in più, vincolati ai risultati delle primarie e dei caucus, e ha superato il quorum necessario per la nomination grazie ai superdelegati. Nel voto popolare Hillary Clinton ha conseguito poco più di 17 milioni di voto, con un margine di vantaggio di poco inferiore ai 4 milioni rispetto a Bernie Sanders. Ecco i risultati delle primarie svoltesi:



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Scott Olson/Getty Images

PRIMARIE USA 2016

I primi elettori americani a scegliere i loro candidati alla presidenza degli Stati Uniti sono stati, come capita ogni 4 anni dal 1972, i caucus-goers dell’Iowa. Lo Stato del Midwest ha dato l’avvio alle primarie presidenziali repubblicane e democratiche lunedì 1° febbraio del 2016. Benché il processo di selezione dei delegati alle Convention dei due grandi partiti americani sia comunemente definito come primarie, esso non si svolge secondo un unico insieme di regole valido per tutti i 50 Stati americani. In Iowa, come in altri Stati, si svolgono infatti i cosiddetti caucus, riunioni di militanti ed elettori dove il voto non sempre è segreto, e dove la partecipazione è normalmente più bassa rispetto alle primarie regolamentate per legge. I caucus si differenziano dalle primarie per il loro carattere di assemblea di partito, disciplinata dagli statuti di Democratici e Repubblicani locali, e non di vera e propria elezione normata dalla legislazione statale. Le primarie sono state introdotte all’inizio del Novecento dal movimento “progressive”, che si lottava per democraticizzare il processo di selezione alle cariche pubbliche federali e statali, all’epoca in mano ai baroni di partito. A differenza di quanto succeda in Italia o in Europa, le primarie sono disciplinate dalle legge statale. Ogni Stato USA organizza elezioni primarie per la selezione delle cariche federali, statali, e degli altri livelli amministrativi. Le primarie presidenziali talvolta si svolgono in modo autonomo, con una consultazione apposita convocata per selezionare i delegati dei candidati alla Casa Bianca, mentre le primarie per le altre cariche statali e federali si svolgono successivamente. Questo si verifica soprattutto negli ormai numerosi Stati che anticipano le primarie tra inverno e inizio primavera. La partecipazione a queste consultazioni non è sempre libera; infatti esistono primarie, o caucus, a cui si può votare solo se si è elettori registrati di un partito. Negli USA è infatti necessario registrarsi all’ufficio elettorale per poter recarsi ai seggi ed esprimere le proprie scelte politiche, e numerosi Stati chiedono ai loro cittadini di indicare a quale partito si sentono affiliati per facilitare l’organizzazione delle primarie. Le primarie libere sono accessibili a tutti, mentre quelle chiuse sono riservate solo agli elettori registrati come Democratici o Repubblicani. Alle primarie semi-aperte possono partecipare tutti gli elettori non affiliati al partito avverso, mentre in quelle semi-chiuse è possibile votare anche se si è registrati anche come indipendenti. Negli Stati dove invece i delegati presidenziali sono assegnati via caucus si svolgono lo stesso le primarie, di solito in un momento successivo, ma queste consultazioni non hanno valore, tanto che sono definite “concorsi di bellezza”. Nelle primarie repubblicane i delegati sono assegnati con un criterio prevalentemente maggioritario, mentre tra i Democratici è preminente una distribuzione proporzionale.

 



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PRIMARIE USA 2016 – il  CALENDARIO

L’organismo deputato a nominare il candidato alla presidenza degli Stati Uniti sono le Convention, congressi di partito che si svolgono ogni quattro anni. Solo a partire dagli anni settanta prima i Democratici e poi i Repubblicani hanno stabilito regole secondo cui la gran parte dei delegati delle Convention presidenziali sarebbe stata assegnata in base al voto degli elettori. Da inizio Novecento fino agli anni sessanta diversi Stati organizzavano primarie, ma non sempre il loro esito era vincolante per l’assegnazione dei delegati, tanto che per conquistare la nomination contava maggiormente il supporto degli apparati di partito rispetto ai voti degli elettori. Nel 2016 la Convention repubblicana si svolgerà tra il 18 e il 21 luglio del 2016 a Cleveland, Ohio, mentre l’assise democratica sarà organizzata esattamente una settimana dopo a Filadelfia, la città più grande della vicina Pennsylvania. Alla Convention hanno diritto a partecipare i delegati conquistati dai vari candidati durante la lunga stagione delle primarie presidenziali. I comitati nazionali dei due partiti hanno stabilito il numero dei delegati e la loro distribuzione tra i 50 Stati, più la capitale Washington e i territori federali che non hanno rappresentanza politica autonoma, come Puerto Rico, le isola Samoa, Guam, Virgin Islands e gli americani all’estero. Per conquistare la nomination democratica è necessario vincere 2242 delegati sui 4383 complessivi , suddivisi tra delegati e super delegati, che sono i dirigenti di partito ed eletti nelle istituzioni membri di diritto della Convention. Il candidato repubblicano alle presidenziali ha dovuto invece conquistare almeno 1237 dei 2472 delegati in palio nelle oltre 50 elezioni che si svolgeranno da inizio febbraio fino a metà di giugno. Dopo la corsa ad anticipare il più possibile lo svolgimento delle primarie da parte di numerosi Stati americani, al fine di aumentare l’influenza e la rilevanza della loro competizione, Repubblicani e Democratici sono riusciti a realizzare un calendario piuttosto equilibrato a livello territoriale. Ognuna delle 4 grandi aree geografiche degli USA, Nord Est, Ovest, Midwest e Sud, svolge una consultazione prima del momento tradizionalmente decisivo del SuperTuesday. Dopo i caucus dell’Iowa nel Midwest l’9 febbraio 2016 si sono svolte le primarie del New Hampshire, nel Nord Est, che per legge di quello Stato sono obbligatoriamente le prime di tutto il ciclo presidenziale a livello federale. Tenutesi per la prima volta nel 1912, le primarie del New Hampshire hanno assunto un ruolo rilevante anche quando la nomination per la Casa Bianca prevedeva un minor ricorso alla volontà elettorale. Nel 1952 e nel 1968 i due presidenti democratici in carica, Harry Truman e Lyndon Johnson, avevano rinunciato alla corsa per la Casa Bianca dopo l’esito deludente delle primarie in New Hampshire. Dopo Iowa e New Hampshire si svolgono le prime primarie del Sud in South Carolina, sabato 20 febbraio, a cui seguono invece i caucus del Nevada per l’Ovest. Dopo queste prime quattro competizioni è arrivato l’appuntamento più atteso, il SuperTuesday. Martedì 1° marzo 2016 12 Stati svolgeranno le loro primarie, o caucus, in contemporanea. Il Supermartedì è una tradizione ormai consolidata delle primarie presidenziali. Nel 1988 diversi Stati del Sud avevano deciso di organizzare nello stesso giorno le loro primarie per influenzare il processo di selezione dei Democratici, che all’epoca premiava eccessivamente i candidati liberal. Il piano non era riuscito, vista la nomination strappata da Michael Dukakis e le numerose vittorie al Sud del candidato afro-americano Jesse Jackson, ma lo svolgimento in contemporanea di numerose primarie statali nel SuperTuesday ha caratterizzato tutti i cicli presidenziali successivi, allargandosi alle altre aree geografiche degli Stati Uniti.

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 HILLARY CLINTON

Per correre per la presidenza degli Stati Uniti è necessario depositare la propria candidatura presso la Federal election commission (FEC), la commissione federale elettorale, presso cui è successivamente obbligatorio rendicontare le spese sostenute per la propria campagna. Al momento i sei candidati registrati presso l’ufficio della FEC tra i Democratici sono, Hillary Clinton, Lawrence Lessig, Martin O’Malley, Bernie Sanders, Lincoln Chaffee e Jim Webb. Lincoln Chafe e Jim Webb hanno però sospeso la loro campagna presidenziale, dopo mesi passati nella marginalità. Hillary Clinton, la candidata che ha vinto nomination presidenziale, è stata senatrice di New York dal 2001 al 2009, per poi esser nominata segretaria di Stato, il nostro ministro degli Esteri, nell’amministrazione di Barack Obama. Incarico poi lasciato dopo le elezioni del 2012, per prendersi una pausa e preparare la lunga campagna di USA 2016. Lawrence Lessig è un professore di Harvard mentre Martin O’Malley è stato prima due volte sindaco di Baltimora, e poi ha svolto un doppio mandato come governatore dell’importante stato del Maryland. Bernie Sanders è un ex rappresentante e ora senatore del Vermont, candidatosi alla presidenza dopo diversi decenni trascorsi al Congresso. Tecnicamente non esiste un termine ultimo per candidarsi alle primarie presidenziali, visto che le competizioni si svolgono in 50 Stati e teoricamente si può partecipare anche nelle numerose consultazioni che si svolgono a metà calendario. Allo stesso modo è possibile, in astratto, che una Convention nomini un candidato alla Casa Bianca un leader politico che non ha partecipato alle primarie, anche se questa ipotesi appare pressoché irrealizzabile. In queste prime settimane di autunno il vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden, sembrava aver ripensato alla sua rinuncia a candidarsi alla Casa Bianca, una titubanza spiegata anche dalle crescenti difficoltà di Hillary Clinton. Dopo il primo dibattito TV tra i candidati democratici l’ex segretaria di Stato si è però ripresa in modo piuttosto chiaro, con copertura mediatica più che positiva seguita a mesi di controversie sul suo utilizzo di un account privato di posta elettronica al posto di quello governativo. Il caso è cresciuto di rilevanza mediatica fino a far temere per il collasso della sua campagna presidenziale, ma la grande favorita delle primarie democratiche è sempre stata Hillary Clinton. Il più importante successo conseguito dall’ex segretaria di Stato è rappresentato dalla mancata corsa di figure di spicco del partito di Obama che avrebbero potuto impensierirla maggiormente rispetto ai suoi avversari; figure proprio come quella di Joe Biden o della senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren. Hillary Clinton ha dominato la concorrenza nella raccolta fondi, e ha conquistato sin dall’annuncio della sua candidatura un incredibile supporto dagli eletti democratici. Ancora prima dell’inizio del voto la maggior parte dei senatori, rappresentanti, governatori, legislatori statali e sindaci democratici si sono schierati con l’ex senatrice di New York. I sondaggi hanno costantemente premiato Hillary Clinton, che da diversi mesi è assestata sopra il 50% delle intenzioni di voto a livello nazionale, con margine di vantaggio oscillanti tra i 20 e i 40 punti sul suo avversario più pericoloso, Bernie Sanders.

La media dei principali sondaggi nazionali degli ultimi mesi sulle intenzioni di voto per le primarie democratiche

 BERNIE SANDERS

Solo Bernie Sanders è riuscito a emergere come un concorrente temibile di Hillary Clinton. Il senatore del Vermont si è dimostrato molto competitivo nella raccolta fondi, e il suo posizionamento politico marcatamente di sinistra – è l’unico parlamentare americano a definirsi un socialista democratico invece che un liberal – ha entusiasmato una fetta rilevante della base progressista. Bernie Sanders è un politico di lungo corso, anche se il suo percorso è assolutamente inusuale per un candidato alla presidenza degli Stati Uniti. Dopo esser stato un dirigente di spicco di un piccola formazione socialista e pacifista negli anni settanta, l’Unione della libertà del Vermont, Bernie Sanders è diventato sindaco della più grande città del suo stato, Burlington, correndo da indipendente. Nel 1990 è stato eletto da indipendente al Congresso come l’unico rappresentante del Vermont, un seggio mantenuto per ben 16 anni. Alla Camera dei Rappresentanti Bernie Sanders è rimasto un indipendente, il primo a esser eletto dopo 40 anni, e si è iscritto al caucus, il gruppo parlamentare, dei Democratici. Nel 2006 si è candidato al Senato, ottenendo una netta vittoria contro il suo avversario repubblicano. I Democratici, consci della popolarità e delle posizioni comuni sulla maggior parte dei temi politici, hanno appoggiato la candidatura di Bernie Sanders, che ha confermato la sua affiliazione congressuale. Dopo la facile rielezione del 2012, il senatore del Vermont ha deciso di correre per la presidenza degli Stati Uniti in rappresentanza dell’anima più progressista della base democratica. Uno dei punti chiave della campagna di Bernie Sanders è la sua rinuncia alla raccolta fondi effettuata dai Super PAC, i comitati non soggetti al rendiconto federale, che possono ricevere somme illimitate di denaro da parte dei finanziatori, per lo più miliardari e grandi aziende. Il senatore del Vermont contesta la sentenza della Corte Suprema, Citizen United v. FEC del 2010, che ha cancellato i tetti alle donazioni alle campagne politiche. La posizione di Bernie Sanders riflette l’ostilità dei liberal americani critici verso l’eccessiva influenza di lobbisti e grandi società nel processo legislativo degli Stati Uniti. Il senatore del Vermont ha caratterizzato la sua campagna presidenziale su altri temi molti cari alla sinistra a stelle e strisce, come una riforma finanziaria che cancelli le banche “troppe grosse per poter fallire”, la riduzione delle disuguaglianze di reddito, l’introduzione di una copertura sanitaria pubblica sul modello europeo, l’accesso gratuito o basso costo all’istruzione universitaria, un duro contrasto al riscaldamento globale, e una politica estera meno interventista rispetto a quanto fatto dall’amministrazione Obama. Le posizioni di Bernie Sanders hanno convinto molti liberal, che avevano numerosi dubbi nei confronti di Hillary Clinton, anche se il segmento elettorale più fedele ai Democratici, le minoranze etniche, sono state particolarmente fredde nei confronti del senatore del Vermont.

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DONALD TRUMP

Il successo della candidatura di Bernie Sanders non è  stato però la novità più sorprendente di questa stagione presidenziale. Le primarie repubblicane sono state infatti caratterizzate da un andamento ancora più curioso dell’ampio favore goduto da un candidato che si dichiara socialista. Nell’autunno del 20145 nei sondaggi più del 50% degli elettori repubblicani si dichiarava orientato a votare per tre candidati che non sono politici di professione: il miliardario Donald Trump, il neurochirurgo Ben Carson e l’ex manager Carly Fiorina. Le indagine demoscopiche rilevate a molto tempo dal voto hanno un valore relativo, ma hanno anticipato il successo mediatico di Donald Trump. La nomination del Gop avrebbe dovuto registrare il consueto confronto tra i candidati dell’establishment del partito, legato a Wall Street e alla grande impresa americana, e quelli appoggiati dalla base conservatrice. I numerosi governatori e senatori che stanno però partecipando alle primarie repubblicane più affollate degli ultimi decenni non sono riusciti a intercettare, almeno per il momento, il desiderio di radicale cambiamento che attraversa buona parte della destra americana. Un’impresa riuscita a Donald Trump, uno degli imprenditori più noti degli Stati Uniti già prima di entrare nell’agone politico. Figlio di uno dei più ricchi immobiliaristi di New York City, Fred Trump, il vincitore delle primarie GOP è diventato uno degli imprenditori di maggior successo degli USA negli anni settanta e ottanta, diventando tra l’altro un volto noto delle copertine dei giornali grazie alle sue chiacchierate avventure sentimentali. Nello scorso decennio The Donald è diventato anche un noto volto TV, grazie al successo di un reality show in cui selezionava personale per le sue aziende. Lo slogan con cui eliminava i concorrenti, “You’re fired”, Sei licenziato, è diventato una frase culto negli USA. Dopo l’elezione di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti Donald Trump si è imposto come uno dei più feroci critici dell’amministrazione democratica, raccogliendo un’enorme attenzione mediatica. Il miliardario USA ha polemizzato con Obama anche sul suo certificato di nascita, rilanciando così la polemica del movimento dei “birtherism”, i complottisti che reputano che il primo presidente nero degli Stati Uniti non sia nato sul suolo americano, e quindi eletto illegittimamente secondo la Costituzione. Benché abbia diverse proposte non in linea con l’ortodossia repubblicana, come l’aumento delle tasse sui ricchi o l’appoggio a una copertura sanitaria universale, Donald Trump ha trovato un enorme consenso nella base conservatrice grazie alle sue posizioni radicali sull’immigrazione. The Donald ha proposto la costruzione di un muro alla frontiera con il Messico, e la deportazione dei milioni di immigrati irregolari che vivono negli USA. Posizioni marginali tra i vertici repubblicani, ma piuttosto popolari nella base conservatrice del partito, bianca e piuttosto anziana. La carica anti establishment, l’enorme notorietà e popolarità, così come la caratterizzazione su alcuni punti molto cari alla destra repubblicana hanno favorito la trasformazione delle primarie repubblicane in una sorta di Donald Trump Show quasi permanente.

La media dei principali sondaggi nazionali degli ultimi mesi sulle intenzioni di voto per le primarie repubblicane

Photo credit: Andrew Burton/Getty Images