La Cina ha un piano preciso e ben articolato per lo sviluppo dell’AI
Per lo sviluppo dell'AI e non solo, se si considera che istituzioni e aziende cinesi collaborano con lo scopo di rendere il Paese leader dell'intero settore tecnologico
08/09/2023 di Ilaria Roncone

Come abbiamo già raccontato in un precedente articolo del monografico di oggi, il governo cinese opera un’azione preventiva di censura dello sviluppo delle applicazioni basate sull’intelligenza artificiale come Ernie Bot. Esiste, dal 2017, un vero e proprio “Piano di sviluppo dell’IA di nuova generazione” che – insieme ad altri proclami ufficiali di vario genere – punta a far raggiungere alla Cina, entro il 2030, lo status di guida allo sviluppo dell’intelligenza artificiale in tutto il mondo. L’ambizione di Pechino è quella di diventare un “first mover advantage”, che è uno degli obiettivi dichiarati nel documento. Cosa succederebbe se il piano cinese AI fosse sviluppato così come risulta essere nelle intenzioni della Repubblica Popolare di Cina?
Pechino ha dato priorità soprattutto agli investimenti nell’AI per la difesa e per la sicurezza nazionale per avere “forze armate di livello mondiale” ed ottenere vantaggi nella futura guerra “intelligente”, in cui essa (insieme ad altre tecnologie emergenti) sarà completamente integrata in operazioni militari con “sistemi e apparecchiature in rete, intelligenti e autonomi”
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Piano cinese AI, a cosa sta lavorando il Paese?
Ciò che deve essere chiaro è che la Cina investe negli ambiti tecnologici tutti in maniera calcolata e quanto più ampia possibile. Parlando dell’AI, ci sono una serie di iniziative politiche e leggi che regolamentano e danno una direzione precisa al progresso in questo settore. Come ha ricostruito Agenda Digitale in un lungo approfondimento sul tema, il Consiglio di Stato ha pubblicato dià nel 2017 un piano completo di sviluppo dell’AI di nuova generazione che punta a rendere la Cina leader del settore entro il 2030.
Quest’anno il Ministero della Scienza e della Tecnologia cinese ha lanciato un piano per lo sviluppo dell’AI nella scienza che punta ad accelerare e promuovere l’applicazione di alto livello dell’intelligenza artificiale nei settori chiave. Nel piano per lo sviluppo dell’AI del 2017 si legge: «L’intelligenza artificiale è diventata un nuovo fulcro della competizione internazionale. L’AI è una tecnologia strategica che guiderà il futuro; i principali Paesi sviluppati del mondo stanno prendendo lo sviluppo dell’AI come una strategia importante per migliorare la competitività nazionale e proteggere la sicurezza nazionale». Il Partito comunista si muove in tre ambiti principali: quello della ricerca computazionale sull’AI, quello della “connettomica” e degli studi sull’AI ispirati al cervello e quello delle interfacce cervello-computer che danno come risultato un potenziamento cognitivo.
Nel “Piano di sviluppo dell’intelligenza artificiale”, inoltre, si prevede per la Cina – come abbiamo già accennato – il ruolo di “first mover advantage”. Questo vorrebbe dire, a livello pratico, che la Cina staccherebbe di molto tutti gli altri Paesi in questa competizione non solo nel campo dell’AI ma – più in generale – in quello delle tecnologie. Questi rischi sono stati analizzati dal Center for Security and Emerging Technology statunitense.
Le ipotesi Usa sullo sviluppo dell’AI cinese
Secondo il think tank della School of Foreign Service della Georgetown University esiste un equilibrio basato sull’impegno nella promozione dell’intelligenza artificiale e delle sue applicazioni che coinvolge tutti: dal Partico comunista al governo nazionale passando per università, laboratori di ricerca e aziende tecnologiche. Dal 2016, inoltre, secondo i ricercatori la Cina si starebbe impegnando – lei come altri Paesi – nell’unione di intelligenza artificiale ed umana con i risultati migliori di tutti. Lo scopo di questa unione sarebbe quello di creare una intelligenza artificiale maggiormente a misura d’uomo «per supportare il processo decisionale umano, nel senso di cancellare le distinzioni tra il funzionamento dell’Intelligenza Artificiale e quello del cervello, e su come interagiscono le due forme di intelligenza».
Un articolo del 2022 del China Daily cita un rapporto della Stanford University che evidenzia come, nel 2022, la Cina abbia «depositato più della metà di tutte le domande di brevetto sull’AI del mondo e i ricercatori cinesi hanno prodotto circa un terzo degli articoli di riviste e di citazioni sull’AI nel 2021». Oltre a questo, emerge come lo scorso anno ci siano state cinquecento istituzioni cinesi che hanno pubblicato duemila progetti transfrontalieri sull’AI. La collaborazione tra Cine e Usa nell’ambito della ricerca nel settore, inoltre, risulta essere quintuplicata rispetto al 2010. Di recente il direttore del Dipartimento di alta e nuova tecnologia del Ministero cinese della Scienza e della Tecnologia ha affermato «che l’intelligenza artificiale, in quanto tecnologia emergente strategica, è diventata sempre più una forza trainante chiave per l’innovazione tecnologica, l’aggiornamento delle industrie e l’aumento della produttività».
La Cina, in sostanza, si è rivelata leader di settore a livello globale già in moltissimi ambiti: dalle apparecchiature per le telecomunicazioni 5G ai dispositivi per l’Internet of Things passando per i droni commerciali, le celle solari, le smart city e non dimenticando i pagamenti mobili. Nell’ambito AI emerge come concorrente di altissimo livello.
Il Center for Security and Emerging Technology ha sottolineato le gravi implicazioni per la scurezza degli Stati occidentali che potrebbero avere determinati obiettivi cinesi portati a termine poiché, tra le altre cose, il coinvolgimento dello Stato cinese nel settore tecnologico è onnipresente; tutti i programmi tecnologici cinesi coinvolgono il know-how straniero; i pianificatori cinesi hanno consapevolezza del ruolo bellico dell’intelligenza artificiale. Viene sottolineata quindi la necessità di monitorare la crescita dell’AI in Cina anche dotandosi di osservatori sul monitoraggio della scienza e della tecnologia. Osservatori che, ad ora, mancano sia negli Stati Uniti che nell’Unione europea.