Perché Jack Dorsey ha finanziato lo sviluppo di Nostr?

Il percorso che ha portato Dorsey a finanziare Nostr è fatto di ammissione dei limiti della sua gestione di Twitter e del principio che porta a mettere al centro l'utente e non l'azienda

01/02/2023 di Ilaria Roncone

La decisione di Jack Dorsey di investire nel protocollo Nostr è stata presa alla fine del 2022, circa a metà dicembre. In un lungo post l’ex CEO di Twitter ha spiegato quali sono stati i suoi errori e quali continuano ad essere quelli del Twitter così come gestito da Musk, anticipando l’investimento di 14 bitcoin (245.000 dollari circa) nello sviluppo di Nostr (Notes and Other Stuff Transmitted by Relays). Perché Jack Dorsey finanzia Nostr è ben spiegato – passaggio per passaggio – in una serie di post scritti nel corso del tempo che Dorsey ha affidato alla rete e che, uniti, riassumono il suo pensiero sulla vicenda.

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Perché Jack Dorsey finanzia Nostr?

Al netto del problema di censura di censura di cui si è parlato con i Twitter Files, a metà dicembre – nei giorni in cui poi ha scelto di investire su Nostr -, Dorsey aveva detto la sua individuando tre questioni da risolvere relative al funzionamento di Twitter e, più in generale, dei social media. «1. I social media devono essere resistenti al controllo delle aziende e dei governi; 2. Solo l’autore originale può rimuovere i contenuti che produce; 3. La moderazione è meglio implementata da una scelta algoritmica».

Le chiavi individuate sono quindi tre: l’indipendenza dei social media da aziende e governi, il diritto alla rimozione di contenuti solo da parte dell’autore originale del post, la moderazione gestita da un algoritmo. «Sono un convinto sostenitore del fatto che qualsiasi contenuto prodotto da qualcuno per Internet dovrebbe essere permanente finché l’autore originale non sceglie di cancellarlo – ha affermato Dorsey -. Dovrebbe essere sempre disponibile e indirizzabile. Non dovrebbe essere possibile togliere e sospendere i contenuti».

«Ciò complica il contesto, l’apprendimento e l’applicazione delle attività illegali – ha riconosciuto -. Naturalmente questa posizione presenta problemi significativi, ma partire da questo principio consentirà di trovare soluzioni di gran lunga migliori rispetto a quelle attuali. Internet si sta orientando verso un mondo in cui l’archiviazione è “libera” e infinita, il che pone tutto il valore effettivo sul modo di scoprire e vedere i contenuti». Per tutto quello che riguarda disinformazione, hating, bullismo e tutti i problemi nati sulle piattaforme – in sostanza – la palla dovrebbe passare agli autori e, secondo Dorsey, non sono le aziende a doverne essere responsabili. Un po’ come il principio dell’automobile: se accade un incidente che non è riconducibile a un malfunzionamento della macchina, la responsabilità è del guidatore e non della casa automobilistica.

L’ammissione di colpa di Dorsey

Dorsey ha incolpato se stesso per non essere riuscito a raggiungere questi obiettivi: «L’errore più grande che ho commesso è stato quello di continuare a investire nella creazione di strumenti che ci permettessero di gestire la conversazione pubblica, invece di costruire strumenti che permettessero alle persone che usano Twitter di gestirla facilmente da soli – ha affermato in riferimento all’intervento di Twitter nella moderazione del dibattito pubblico -. Questo ha caricato l’azienda di un potere eccessivo e ci ha esposto a significative pressioni esterne (come i budget pubblicitari). In generale penso che le aziende siano diventate troppo potenti e questo mi è apparso del tutto chiaro con la sospensione dell’account di Trump. Come ho già detto, in quel momento abbiamo fatto la cosa giusta per l’azienda pubblica, ma la cosa sbagliata per Internet e la società».

«È ovvio che i governi vogliano plasmare e controllare la conversazione pubblica e che utilizzeranno ogni metodo a loro disposizione per farlo, compresi i media – prosegue l’ex proprietario di Twitter -. E il potere che una società esercita per fare lo stesso non fa che crescere. È fondamentale che il popolo abbia gli strumenti per opporsi a tutto questo e che tali strumenti siano in ultima analisi di proprietà del popolo. Permettere a un governo o a poche società di possedere la conversazione pubblica è un percorso verso il controllo centralizzato».

Sul fronte moderazione, Dorsey afferma che l’idea di un sistema centralizzato che agisca a livello globale non sia auspicabile: «Può essere fatta solo attraverso algoritmi di ranking e di rilevanza, tanto più localizzati quanto meglio. Ma invece di un’azienda o di un governo che costruisce e controlla esclusivamente questi algoritmi, le persone dovrebbero essere in grado di costruire e scegliere gli algoritmi che meglio si adattano ai loro criteri, o di non doverne usare affatto».

Queste tutte le ragioni per le quali, alla fine, Dorsey ha scelto di investire sul protocollo Nostr e – di conseguenza – sui social che si possono creare a partire da esso (abbiamo analizzato Damus, rilasciato sull’App Store la scorsa notte).

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