Pamela e Jessica, quel filo conduttore delle case famiglia che non funzionano

Ci sono tanti punti in comune tra Pamela Mastropietro e Jessica Valentina Faoro, le due ragazze di 18 e 19 anni trovate morte nei giorni scorsi a Macerata e a Milano. Innanzitutto, la giovane età. Quel profondo senso di ingiustizia che si legge negli occhi di tutti, quando scorrono nei teleschermi le immagini della loro innocenza fuggita. Poi, il passato difficile, la famiglia assente, la ricerca di vie di fuga più facili per sfuggire (soltanto in apparenza) ai problemi di ogni giorno.

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OMICIDIO PAMELA JESSICA, I PUNTI IN COMUNE

Pamela Mastropietro, secondo le ricostruzioni degli inquirenti, potrebbe essere stata uccisa da una dose fatale, per poi esser stata fatta a pezzi dal suo spacciatore. Nel tritacarne mediatico che ne è seguito, il suo episodio è stato additato come esempio di quella tensione sociale tra italiani e stranieri, con tanto di folle sparatoria razzista messa in atto dall’estremista di destra Luca Traini. Ma il punto non sta qui.

A confermarlo è l’altra morte, quella di Jessica Valentina Faoro. Lei è stata uccisa dall’uomo che l’aveva ospitata in casa. Faceva di tutto in quell’appartamento di Milano: le pulizie, il cane portato a spasso, la cucina. L’assassino, Alessandro Garlaschi, avrebbe voluto approfittare di lei. Un suo rifiuto, forse, ha rappresentato il movente dell’omicidio. Stavolta, quindi, il dualismo bianco-nero non c’entra.

OMICIDIO PAMELA JESSICA, LE STORIE

Così come non c’entrava quando, subito dopo la fuga dalla comunità che la ospitava, Pamela Mastropietro ha chiesto aiuto a un italiano di 45 anni. Lui, in cambio di soldi e di un passaggio alla stazione dei treni, ha voluto del sesso. Violenza e fragilità, dunque. L’altro tratto comune che unisce i due casi.

Ma c’è un ulteriore aspetto che tiene insieme le due situazioni. Sia Pamela, sia Jessica hanno avuto nel loro recentissimo passato un’esperienza in una casa famiglia. Quelle strutture di recupero che avrebbero dovuto aiutarle, in realtà hanno rappresentato – nei pensieri delle due ragazze – il nemico dal quale fuggire. La comunità Pars di Corridonia ha ospitato Jessica Mastropietro. Da lì la diciottenne era fuggita, verso la sua ultima notte.

«Pamela era già scappata dalla San Valentino a ottobre – ha spiegato al Corriere della Sera Marco Valerio Verni, avvocato della famiglia e zio di Pamela -. Ce l’avevamo mandata chiedendo un provvedimento al tribunale, che aveva nominato la nonna materna amministratrice di sostegno, responsabile dei ricoveri e delle cure: dalla Pars non hanno mai risposto alle sue mail». L’avvocato si pone anche la domanda che tutti, in queste ore, avremmo dovuto farci: «Alla Pars hanno fatto tutto il possibile per bloccare la ragazza? – ha continuato l’avvocato – Se l’avessero sorvegliata meglio, tutto questo non sarebbe successo».

OMICIDIO PAMELA JESSICA: ENTRAMBE FUGGIVANO DALLE CASE FAMIGLIA

La fuga dalla comunità ha costretto anche Jessica a trovare rifugio prima in strada e poi in casa dell’orco. La ragazza era seguita dai servizi sociali sin dopo la nascita, era stata rifiutata dalle famiglie a cui era stata data in affido, era scappata dalla comunità a cui era stata successivamente assegnata e ha vissuto senza fissa dimora fino a quando, circa 15 giorni fa, il suo assassino non le ha offerto un posto nel suo alloggio. Le sue mire, tuttavia, erano altre. E il tragico evento lo ha dimostrato.

«Quello delle case famiglia e delle comunità di recupero – dice Paolo Roat della onlus CCDU Minori – è un sistema sbagliato perché è coercitivo. In questi posti, invece di emulare il meglio, si mutuano i comportamenti degli adulti, in una situazione di totale degrado. Pochi giorni fa ci siamo occupati del caso di un ragazzo che, appena uscito da una casa famiglia, si è messo a spacciare ed è stato arrestato dopo poco tempo».

OMICIDIO PAMELA JESSICA, COME EVITARE EPISODI DEL GENERE

I ragazzi nelle case famiglia, molto spesso, peggiorano la loro situazione. È questo il principio da cui parte Vincenza Palmieri, presidente dell’Istituto Nazionale di Pedagogia familiare: «Quando si arriva a parlare di casi come quelli di Pamela e di Jessica – afferma ai microfoni di Giornalettismo – è sempre troppo tardi. I problemi di ragazze come queste si radicalizzano all’interno delle comunità, perché non trovano accoglienza».

L’attuale sistema delle case famiglia, secondo la dottoressa Palmieri, non funziona per una serie di motivi: «Nelle case famiglia, a parte qualche sporadica eccellenza, non si trovano mai progetti scolastici ed educativi, non ci sono progetti sulla famiglia, vengono utilizzati interventi psico-farmacologici non necessari. Quando un ragazzo scappa da questi luoghi di accoglienza, come avvenuto nei casi di Pamela e Jessica, significa che qualsiasi progetto è fallito».

E allora, per modificare uno status quo che sfocia in tragici episodi di cronaca, bisognerebbe ridiscutere il tutto dalle fondamenta: «Il nostro istituto parte dalle municipalità, dalla scuola, dall’ambiente del ragazzo – conclude la Palmieri -: la linea da seguire è quella di mettere in piedi progetti ad personam che coinvolgano anche le famiglie. Le comunità non sono mai la soluzione ideale: bisogna ricordarsi ch l’adolescenza non può essere una terra di nessuno».

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