Il nobel per la pace assegnato agli attivisti contro lo stupro come arma di guerra
05/10/2018 di Gaia Mellone
Il Nobel per la pace 2018 è stato assegnato agli attivisti contro lo stupro di guerra Nadia Murad, 25enne Yazidi, e Denis Mukwege, 63 anni. Il presidente della commissione Berit Reiss-Andrsen ha spiegato che il premio è stato loro assegnato per «gli sforzi volti a porre fine allo stupro come arma di guerra». Un riconoscimento che segna l’importanza che hanno avuto quest’anno i movimenti per i diritti delle donne.
Nadia e Denis, chi sono gli attivisti
Denis Mukwege è un ginecologo del Congo che, insieme ai suoi colleghi, ha fornito assistenza medica a oltre 30000 vittime di stupro. Ha fondato l’Ospedale Panzi di Bukavu, dove è diventato uno dei già grandi esperti nel trattare le conseguenze fisiche e mentali degli stupro, sopratutto nei contesti di guerra. Tra le tante donne che ha aiutato, la maggior parte erano vittime della guerra civile del paese. È diventato un grande oppositore del governo, accusandolo di non aver fatto abbastanza per contrastare le violenze sessuali del paese, e ha poi esteso le stesse critiche a molti altri paesi del mondo. È diventato quindi un punto di riferimento per la comunità internazionale.
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The Norwegian Nobel Committee has decided to award the Nobel Peace Prize for 2018 to Denis Mukwege and Nadia Murad for their efforts to end the use of sexual violence as a weapon of war and armed conflict. #NobelPrize #NobelPeacePrize pic.twitter.com/LaICSbQXWM— The Nobel Prize (@NobelPrize) October 5, 2018
Nadia Murad invece è una sopravvissuta alle torture e agli stupri compiuti dai militanti dello Stato Islamico, ed è diventata uno dei volti simbolo della campagna di liberazione del popolo Yazidi. È diventata un’attivista dopo essere scappata dall’IS nel novembre 2014. Ha raccontato la sua storia di fronte a molte associazioni internazionali, incluso il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dove nel 2016 ha denunciato formalmente l’Isis non solo per le violenze che le donne del suo popolo sono costrette a subire, ma anche per convince la comunità internazionale che ciò che stava accadendo alla sua gente per mano del gruppo terrorista è un vero e proprio genocidio. A differenza di molte altre donne sopravvissute alle stesse torture, Nadia ha deciso di uscire allo scoperto, mettendoci faccia e nome, insistendo con i giornalisti per essere identificata e fotografata. «Tornerò alla mia vita normale solo quando potranno farlo anche le donne tenute in cattività, quando la mia comunità avrà un luogo e quando vedrò i responsabili pagare per i loro crimini». Nata nel nord dell’Iraq, a Kojo, Nadia e la sua famiglia sono stati al centro della pulizia etnica perpetrata dall’Isis. Il suo villaggio è stato uno dei primi Yazidi ad essere controllato dall’Isis nell’agosto 2014. I cittadini erano stati rinchiusi nell’unica scuola del paese, dove donne e ragazze erano state separate dagli uomini: i maschi erano poi stati caricati su dei camion e portati fuori dal villaggio per essere giustiziati. Tra loro c’erano anche i suoi fratelli. Le donne invece erano state portate in un mercato di schiavi, dove era stata venduta a uno dei giudici Isis più in alto nella gerarchia. Lui l’ha violentata ripetutamente, picchiandola quando chiudeva gli occhi. Nadia ha raccontato che quando aveva cercato di scappare saltando da una finestra, il giudice l’ha punita ordinandole di spogliarsi, per poi lasciarla sola con le sue guardie del corpo, che l’hanno violentata uno per uno. Veniva anche picchiata, torturata, bruciata con i mozziconi di sigaretta. È riuscita a scappare a novembre.
«Nadia si rifiuta di venir zittita» aveva scritto Amal Alamuddin Clooney, l’avvocato che la rappresenta nell’azione legale contro i comandanti Isis, nel libro autobiografico “L’ultima ragazza” in cui Nadia racconta la sua storia, «Nel tempo che ho avuto per conoscerla, ho visto Nadia trovare non solo la sua voce, ma diventare la voce di tutte le vittime Yazidi, dei loro abusi e dei loro sequestri».
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La guerra dell’Isis contro il popolo Yazid
Le donne Yazidi sono le principali vittime del traffico di schiavitù sessuale orchestrato dallo Stato Islamico. La popolazione di lingua curda è stata presa di mira dall’Isis fin dall’inizio: non si è trattato di una “semplice” conquista territoriale, ma di una vera e propria pulizia e sottomissione etnica che lo Stato Islamico aveva pianificato fin nei minimi dettagli. In un articolo del New York Times, il giornalista Callimachi aveva spiegato in cosa consisteva la “teologia dello stupro” messa a punto dall’Is. Mentre agli ebrei e ai cristiani era permesso pagare una tassa per sottrarsi al mercato di schiavitù sessuale, ripristinato ufficialmente dall’Isis nel 2014, gli Yazidi non avevano scampo. A distinguerli è la loro religione, un misto di islam, cristianesimo, ebraismo e zoroastrismo. L’assenza di una via di fuga viene giustificata dall’Isis con dei versi del Corano, e aveva anche diffuso un “manuale” per trattare le schiave sessuali. Veniva legittimato lo stupro su bambine, ragazze, anziane, in tutti i modi possibili e immaginabili. L’unica possibilità che hanno le donne per non venire violentate, è rimanere incinta, ma un altra inchiesta del New York Times ha raccontato che alle donne Yazidi viene data la pillola anticoncezionale.
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Nobel pace 2018, Federica Mogherini «celebra forza, coraggio e visione»
«Il Nobel per la pace di quest’anno celebra la forza, il coraggio e la visione, le storie di un uomo e di una donna che hanno rischiato la propria vita per aiutare, proteggere e salvare gli altri». A dirlo è l’Alto rappresentante dell’Unione Europa Federica Mogherini che racconta di aver «avuto il privilegio di incontrare sia Denis Mukwege che Nadia Murad quando hanno avuto il Premio Sakharov del Parlamento europeo». Mogherini ha celebrato il «lavoro instancabile» dei due «all’interno delle loro comunità per apportare cambiamenti e porre fine all’uso della violenza sessuale come arma di guerra» evidenziando che le loro storie hanno «ispirato l’azione dell’Ue negli ultimi anni».
Credits immagine: Nadia Murad: Photo by Alfred Yaghobzadeh/ABACAPRESS.COM ; Denis Mukwege by Pierre Villard/Pool/ABACAPRESS.COM)