Cosa può dare Minà’s Rewind alla Gen Z abituata ai video su TikTok

Un dialogo con Ludovica Piccialuti, 21enne che fa parte del digital team che sta curando la digitalizzazione dell'archivio storico di Gianni Minà

15/08/2022 di Gianmichele Laino

Quale è il punto di incontro tra l’archivio del lavoro di un giornalista che si è mosso ben prima della digitalizzazione e tutto ciò che è venuto dopo? Per trovare questo legame abbiamo intervistato, nel pieno della scorsa estate, Ludovica Piccialuti. Con i suoi 21 anni e la sua appartenenza al team di Mina’s Rewind – progetto per la digitalizzazione dell’enorme patrimonio frutto del lavoro del giornalista -, parlando con la giovane collaboratrice abbiamo potuto chiarire il valore della scoperta di un professionista del calibro di Minà per i ragazzi della generazione Z.

Il progetto Minà’s Rewind, in questo ambito, è stato individuato come uno spartiacque che permette di comprendere ciò che era il giornalismo prima e ciò che è diventato ora, influenzato dai nuovi mezzi di diffusione e – in particolar modo – da regole, tempi e caratteristiche dei social network.

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Digitalizzazione e generazione Z. Si tratta di due termini e concetti che spesso procedono a braccetto. Servizi, relazioni, informazioni vengono gestiti sempre più – dalle nuove generazioni – attraverso piattaforme digitali. Anche per questo il progetto di Minà’s Rewind – con l’obiettivo di aggiornare i formati di riferimento dell’archivio storico di Gianni Minà – sta andando avanti: offrire uno sguardo sul contributo di una delle più importanti e influenti voci del giornalismo italiano anche alle nuove generazioni non può non essere l’obiettivo di un lavoro che sta continuando. Proprio per misurare l’impatto che la digitalizzazione di un archivio storico può avere sulle nuove generazioni, abbiamo provato a dialogare con Ludovica Piccialuti, 21 anni, inserita nel digital team di Minà’s Rewind. Il colloquio ci è servito per capire come fanno a convivere il giornalismo “storico” di Minà e quello più simile a un fast food dei social network. Ed è stato illuminante anche per individuare le direttrici che il progetto può seguire per lasciare una eredità didattica alle nuove generazioni.

Minà’s Rewind e il rapporto con le nuove generazioni

«Io ho 21 anni – ci spiega Ludovica Piccialuti -, e non direi il vero se affermassi che conosco il personaggio di Gianni Minà in tutto e per tutto, perché non ci siamo a livello di tempo, di epoche, di generazioni. Però posso dire con certezza che collaborare con il digital team ad un progetto, il Minà’s Rewind che vuole ricostruire l’archivio storico di un giornalista che ha fatto la differenza, e ha dato tanto come patrimonio culturale, sicuramente mi sta arricchendo molto. È difficile entrare nel mondo dei social, portando con sé così tanta storia, così tanta ricchezza, ed infatti, il pubblico più affezionato di Gianni rimane un target medio-alto, ma noi, delle nuove generazioni, abbiamo solo da imparare, da chi con la sua esperienza trasmette il suo mestiere. Immagino ragazzi appassionati di giornalismo, e raccogliere gli insegnamenti, e le perle nascoste del tesoro di Gianni Minà, potrebbe essere d’ispirazione a tutti coloro che ad esempio vorrebbero seguire le sue tracce proprio fruendo dei materiali del suo archivio».

Il tutto ha un grado di difficoltà maggiore se si pensa a quelle che sono, al momento, le caratteristiche della Generazione Z: l’abitudine a contenuti di intrattenimento, che abbiano l’obiettivo di far staccare la spina – come ci ha detto Ludovica Piccialuti -, con la tendenza a rifugiarsi in uno spazio virtuale. Un profilo come quello di Gianni Minà è sicuramente di un altro target rispetto alle nuove generazioni, ma sicuramente può rappresentare un punto di riferimento per chi, tra i più giovani, decida di approfondire le informazioni, di distinguere in maniera decisa la verità dalle fake news.

«Il percorso del Minà’s Rewind vuole essere, al contrario della rapidità di fruizione che contraddistingue i social network, duraturo, aperto a tutti, con un filo conduttore che unisce i diversi spazi offerti dai social per costruire un puzzle con i diversi archivi destinati a durare nel tempo: fotografico (Instagram), video (Youtube), news d’attualità (Facebook). La differenza più grande, è il tratto distintivo di Gianni Minà: il suo scrivere con professionalità, fermezza, emozione nascosta in quei frammenti di vita che racconta, nelle sue storie vissute. Un modo di scrivere unico, che non rispetta necessariamente le regole dei social: dei post con didascalie più folte, con una ricchezza difficile da riassumere ad esempio nei 140 caratteri di Twitter. Questo sicuramente per il pubblico affezionato che seguiva Gianni ai tempi, rimane un tesoro di inestimabile valore: un continuare la sua strada, un tracciare la sua memoria. Ad esempio, su Instagram, abbiamo creato un link tree, ovvero un link che mette insieme i diversi rimandi agli archivi di Gianni, così da facilitarne la fruizione immediata. Per le nuove generazioni questa rappresenta una sfida, un farsi conoscere attraverso un linguaggio molto diverso dal nostro».

Minà’s Rewind offre sicuramente l’occasione per riflettere sulla direzione che sta prendendo il giornalismo e sulle differenze tra quello tradizionale e quello più adatto alla diffusione via social network. La convivenza tra queste due formule, tra questi due format, può ancora essere possibile. Spiega Ludovica Piccialuti: «I social devono essere usati, ma non sostituirsi alla tradizione. Credo che convivenza sia la parola giusta, in quanto in un mondo che procede sempre più in direzione della digitalizzazione, serva necessariamente rinnovarsi, ma non stravolgersi. Il mestiere del giornalista, così come quello dell’avvocato, o del dottore, secondo me sono mestieri “fissi”, cioè che devono mantenere un certo rigore e responsabilità offline. Inserirsi nell’online richiede una certa responsabilità con il rischio di cadere nelle online firestorms di commenti che si trasformano in insulti, notizie travisate e trasformate in fake news attraverso il passaparola, quindi secondo me bisogna stare molto attenti. La credibilità e la reputazione, con i social hanno dei confini molto più rischiosi, e per questo non bisogna abusare o trasformare il proprio mestiere. Aggiornarsi con cautela potrebbe essere la chiave del successo, in quanto proprio grazie alle caratteristiche intrinseche dei social, cose che prima non si potevano fare, oggi sono non solo fattibili, ma consentono la conservazione della memoria».

Ed è qui, dunque, che il Minà’s Rewind si inserisce come piattaforma di raccordo: «Proprio con il Minà’s Rewind – continua -, trasformando in digitale le vecchie cassette e tutti i materiali di un tempo, è possibile la conservazione di un patrimonio che altrimenti andrebbe perduto nel dimenticatoio. In questo i social o piattaforme dove conservare il proprio materiale possono aiutare a rendere il tutto visibile agli occhi di una platea mondiale, universale. Dal mio punto di vista sarebbe sbagliato affidare tutto al digitale, in quanto virtuale molto soggetto a rischio di perdere qualcosa per strada, ed è sempre bene conservare le tracce della storia anche in modo materiale, concreto. Io personalmente sono molto affezionata alla carta, e sarebbe un triste destino se un domani i giornali scomparissero. Il giornalismo può convivere con quello social, ma non può a mio parere essere sostituito da quest’ultimo».

Per questo motivo è utile individuare una possibile declinazione per i contenuti dell’archivio storico di Gianni Minà a livello di piattaforme social: «Noi del digital team, appena è partita la campagna di crowdfounding il 24 Maggio, abbiamo immediatamente reso visibile la notizia su Facebook, in primis e poi su Instagram per portare il progetto agli occhi di più persone possibili. Nel tempo, abbiamo costruito post a cadenza settimanale, che hanno fatto raggiungere alti picchi di engagement, rendendo noti i contenuti dell’archivio ad un numero di persone in netta salita. Stiamo cercando di tracciare un percorso, di ricostruire il passato ed allo stesso tempo di seguire l’attualità dei fatti. Il portare la storia di Gianni sui social aiuta a ricostruirne le tracce e proprio per questo le foto ed i video di sue storiche interviste potrebbero oltre che lasciare una grande emozione nel pubblico di Gianni affezionato, una grande consapevolezza nei giovani che si scontrano con una nuova realtà, diversa, ricca che ha tanto da dare. Credo che il lavoro che stiamo facendo sui social proceda nella giusta direzione, in futuro potrebbero essere sfruttate le caratteristiche di Tik Tok per creare contenuti interattivi sempre d’informazione, più vicini al pubblico giovanile, ma stiamo temporeggiando, perché il rischio di abusare dei social come dicevo prima è troppo alto, e così il rischio di distorcere l’immagine di Gianni Minà».

Nel frattempo, c’è tutta l’emozione dei 20 anni nel collaborare a un progetto che parte da uno dei pilastri del giornalismo in Italia: «È successo tutto così in fretta, che forse ancora non riesco a realizzare a pieno tutto ciò che sta accadendo intorno a me. Loredana Macchietti, dopo 3 anni di università che ho frequentato con lei, è diventata una mia amica davvero importante: nonostante la differenza d’età, ci siamo sempre completate l’una con l’altra. Abbiamo lavorato molto insieme, in projects work universitari. Le sue risorse la sua esperienza sono state per me terreno fertile di arricchimento, così come il mio bagaglio è stato utile a lei per raggiungere degli obiettivi. Grazie a lei, ho colto questa opportunità di contribuire attraverso le mie capacità, con il digital team di Gianni Minà, riscoprendo delle mie qualità e valorizzandole. E forse l’emozione più grande per me è proprio questa: il mettermi alla prova attraverso questa esperienza, il mettere in pratica quello che ho imparato e confrontarmi con l’immenso mondo del giornalismo, che pian piano sto conoscendo e scoprendo, e che nel tempo mi potrà dare ed insegnarmi molto».

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