La folle accusa di razzismo nei confronti di Michel Boldrin

Tutto è partito da una frase di una sua vecchia intervista, decontestualizzata. Il discorso, invece, era proprio contro le discriminazioni

04/08/2020 di Enzo Boldi

La storia è sempre la stessa: si prende una frase da un lungo discorso (11 secondi su 11 minuti di dibattito), la si toglie dal suo contesto e la si dà in pasto ai social per denigrare una persona. L’ultima vittima di questa atavica tendenza è Michele Boldrin, noto economista veneto e docente di economia di fama mondiale. Tutto è partito quest’oggi, quando un account twitter ha estrapolato una sua frase da una vecchia intervista rilasciata nell’agosto del 2019 a Breaking Italy, il podcast condotto da Alessandro Masala.

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Il profilo che ha pubblicato quell’estratto, tagliato in modo capzioso, non esiste più. Occorre sottolineare che prima della rimozione dal social (volontaria), da quell’account arrivavano messaggi che parlavano di speranza per una bomba nella sede dell’Università Bocconi. Insomma, non un profilo dei più affidabili. Detto questo, quell’estratto riportava solamente una frase di Michele Boldrin: «Un tempo si diceva che i neg*i lavoravano meno, che è anche vero per mille ragioni culturali». Il filmato si interrompeva lì.

Michele Boldrin e la folle accusa di razzismo nei suoi confronti

Nella versione integrale dell’intervista di Michele Boldrin, però, quella frase faceva parte di un concetto molto più ampio in cui parlava delle attitudini al lavoro di chi non è italiano messi a confronto (con la stessa moneta) anche con i veneti (i suoi corregionali). E si trattava di un discorso proprio sulla strategia di caccia allo straniero portata avanti dalla Lega di Salvini. Qui il video integrale.

Insomma, si tratta di un qualcosa che non ha nulla a che vedere con il razzismo che lo stesso Michele Boldrin ha sempre combattuto, come dice la sua storia. Accusarlo in base a 20 secondi con una frase decontestualizzata è solo la rappresentazione di questa attività malata che si chiama fango.

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