Che ce frega della crisi di governo, tanto c’abbiamo i meme

La corsa a rincorrere il tweet più salace, il fotomontaggio più efficace, la battuta di spirito sembra prevalere rispetto alla gravità della situazione: non tanto per quello che è adesso, ma per quello che sarà

21/07/2022 di Gianmichele Laino

La ministra Fabiana Dadone si trasforma (anche se facciamo fatica a cogliere il riferimento ideologico) nella manifestante che, il 15 aprile 2015, salì sul tavolo della conferenza stampa dell’allora banchiere centrale Mario Draghi inondandolo di false banconote.

È un meme che è stato condiviso sui social network, addirittura, dal compagno della ministra. Ivano Monzani, l’addetto alla sicurezza del concerto di Fedez reso celebre dalle sue espressioni rassegnate durante le esibizioni delle nuove star della musica italiana, viene ritratto a confronto con il presidente Mattarella. La caption è la domanda Draghi, ma lei è ancora qua?

LEGGI ANCHE > Il sobrio commento di El País sul parlamento italiano come «animale selvaggio e autodistruttivo»

Meme su Draghi non danno la dimensione della gravità della situazione

Al ballo delle vanità non si sono sottratti i principali quotidiani del Paese. Ricordiamo semplicemente il Fatto Quotidiano, che ha ritratto – all’indomani delle dimissioni presentate dal presidente del Consiglio – Mario Draghi con un mojito in mano. In stile Papeete. È una corsa a chi fa il meme migliore, il tweet più salace, il fotomontaggio più efficace, la battuta di spirito con più like. Sembra quasi, anzi, che i fatti siano modellati sul loro eventuale successo sui social network e non il contrario.

Quello che l’attuale crisi di governo ci ha mostrato è l’ennesima deviazione della comunicazione via social network e del meccanismo di funzionamento dei social network stessi. Sappiamo benissimo che un contenuto sul web funziona quanto più è dirompente, quanto più è inaspettato, quanto più hype riesce a creare. Sembra che i fatti della vita reale si muovano esattamente in questa direzione e la gestione surreale dei partiti da parte di questa crisi di governo sembra una conferma. Quale mossa produrrà il maggiore consenso sui social network? Quale mossa contribuirà alla creazione della GIF più divertente? Che ce frega della crisi, noi c’avemo i meme. E l’engagement.

Il fenomeno sarebbe da studiare con un certo distacco ironico, se questa rincorsa all’accalappiamento dell’oscillante consenso virtuale non rischiasse di gettarci nel baratro di una confusione generale. Le elezioni sono un passaggio fondamentale delle democrazie occidentali ed è giusto rispettarne l’esito. Ma questo abbassamento generalizzato degli standard porterà inevitabilmente verso una maggioranza di destra – la destra vera, scevra addirittura dalla moderazione della formula che la vede abbinata al centro – che influirà sulla vita sociale ed economica del Paese e che darà anche la sua versione dei processi di digitalizzazione.

La destra dei video gridati, quella della condivisione – spesso – di contenuti polemici e divisivi (quando non sconfinanti nelle fake news) è pronta a guidare la transizione digitale del Paese? Non lo sappiamo. Ma i meme, quelli sì, saranno bellissimi.

Share this article