Maturità, Mussolini e la meglio gioventù
23/06/2010 di Carlo Cipiciani
Se fossimo stati ancora nel 1982 sarei stato uno dei 500 mila ragazzi che ieri hanno affrontato la prova d’italiano all’esame di maturità. E avrei trovato la traccia sul ruolo dei giovani nella storia e nella politica. Anche io, come la ministro Gelmini avrei fatto “quello”. Sorpreso per la citazione di un discorso di Mussolini. E non tanto la scelta del responsabile di un ventennio di dittatura, dell’abolizione delle libertà fondamentali, delle leggi razziali, della tragedia della guerra accanto al nazismo di Hitler, stonata accanto a persone come Moro e Giovanni Paolo II.
Ma sorpresa soprattutto per la scelta di “quel” discorso di Mussolini: l’intervento in Parlamento del 3 gennaio 1925. Il “discorso sul delitto Matteotti” con cui il duce di fatto rivendicava quell’assassinio e il fascismo, dopo la crisi apertasi con l’assassino del deputato socialista, si consolidava come regime e diventava compiutamente una dittatura. All’interno del quale risuona la tragica eco di “quel” passo inserito nella traccia: “se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana”.
La “meglio gioventù” del fascismo era quella che marciava su Roma, bruciava i libri per strada, riempiva di botte ed olio di ricino gli oppositori. Tra i tanti, oltre a Giacomo Matteotti, i fratelli Rosselli, Antonio Gramsci e Piero Gobetti. Piero Gobetti fondò la sua rivista, “La Rivoluzione liberale” nel 1922, quando aveva 21 anni, e scrisse lo splendido saggio omonimo nel 1924, a 23 anni. Morì in esilio, a 25 anni, anche in seguito alle percosse, aggressioni e violenze più volte subite in Italia – dove si ostinò a restare da perseguitato – perché soffriva di scompensi cardiaci.
Piero Gobetti nel saggio “La Rivoluzione liberale” aveva scritto che “il problema italiano non è di autorità, ma di autonomia: l’assenza di una vita libera fu attraverso i secoli l’ostacolo fondamentale per la creazione di una classe dirigente, per il formarsi di un’attività economica moderna e di una classe tecnica progredita”. Quella classe dirigente che porta, oggi come allora, persone da poco a grandi responsabilità: capi del governo e ministri per l’Istruzione.
Piero Gobetti scrisse nel famoso articolo “Lettera a Parigi” pubblicato il 18 ottobre 1925, pochi mesi prima di morire, che “bisogna amare l’Italia con orgoglio di europei e con l’austera passione dell’esule in patria per capire con quale serena tristezza e inesorabile volontà di sacrificio noi viviamo nella presente realtà fascista”. La stessa passione e lo stesso amore con cui i ragazzi del 2000 devono ancora ostinarsi ad amarla oggi, nonostante questa gente che – indegnamente – la rappresenta al governo e in Parlamento.
Questo avrei scritto, su quella meglio gioventù di allora. In quest’Italia senza memoria che affoga per colpa di una classe dirigente che si crogiola nella sua ignoranza storica e nella sua mediocrità politica, affogando il futuro della migliore gioventù di oggi. Lo avrei scritto se fossi stato seduto su quel banco, come nel 1982. Ma non siamo più nel 1982. E almeno, quell’anno lì, abbiamo vinto i mondiali di calcio.