Salvini parla come fosse all’opposizione: «O calano le tasse o lascio tutto»

21/06/2019 di Enzo Boldi

A decidere è lui, insieme alla squadra di governo scelta da lui e con lui da Luigi Di Maio. Eppure, leggendo l’intervista rilasciata da Matteo Salvini a Il Corriere della Sera, sembra che il leader della Lega faccia parte dell’opposizione o che, almeno, non abbia alcuna voce in capitolo sulle scelte fatte e che dovrà fare la maggioranza sui temi economici, di spending review e di taglio delle tasse. La realtà, però, racconta che lui oltre a essere ministro dell’Interno ricopre anche il ruolo di vicepremier, nonché di segretario del partito che alle ultime elezioni europee ha preso più voti di tutti in Italia. Il peso decisionale, dunque, è in buona parte sulle sue spalle, nonostante faccia il timido e si rimetta alla clemenza della maggioranza.

«Abbassiamo le tasse per 10 miliardi altrimenti sono anche disposto a lasciare – ha dichiarato Matteo Salvini a Il Corriere della Sera -. Dal viaggio negli Stati Uniti ho portato una convinzione fortissima: all’Italia serve una riforma fiscale coraggiosa. E quindi, il mio dovere è farla. Se non me la dovessero far fare, io saluto e me ne vado». Dalle parole del leader della Lega sembra arrivare un aut aut a quelli che lui, spesso e volentieri, chiama «amici del Movimento 5 Stelle» che, dal canto loro, continuano a ribadire da più di un anno di non avere la benché minima intenzione di aumentare le imposte.

L’aut aut di Matteo Salvini

Il mirino, dunque, è rivolto verso «i burocrati» dell’Unione Europea che gli impedirebbero di fare una riforma coraggiosa che sistemerebbe le casse dello Stato italiano. Ma non aveva detto che con la vittoria alle Europee si sarebbe preso in mano tutto quello che in questi anni è stato gestito da Juncker&Co.? Evidentemente, come era ovvio vedendo il risultato del 26 maggio e le alleanze (con la minoranza), la Lega in Europa non ha voce in capitolo per via della grande coalizione PPE, S&D e Alde. Con buona pace dei sovranisti.

Quando fu firmato il Patto di Bilancio Europeo, lui era europarlamentare

L’aut aut lanciato da Matteo Salvini, dunque, ha il retrogusto del populismo: cercare il nemico per coprire un qualcosa quasi impossibile da realizzare. Una sorta di polizza elettorale su un fallimento che sembra essere probabile. Non perché le regole europee siano sempre state giuste, ma perché quei vincoli sono stati firmati anche dall’Italia e sui bilanci dello Stato non possono valere leggi e modifiche retroattive. Ma l’importante è promettere, fino alle fine: «Taglieremo le tasse a lavoratori e famiglie a prescindere dal parere di qualche burocrate. Il futuro, dei nostri figli e dell’Italia, viene prima dei vincoli decisi chissà dove». E pensate un po, lo stesso Matteo Salvini era un Europarlamentare (lo è stato per tre legislature) quando nel 2012 venne approvato il  Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria, più comunemente conosciuto come Patto di Bilancio Europeo.

(foto di copertina: ANSA/GIUSEPPE LAMI)

 

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