Marco Cappato: «Oggi è cambiato il modo di morire, il Parlamento deve essere libero di discutere e informare i cittadini»

Sono passati 10 anni dalla morte di Eluana Englaro. Durante i 17 anni passati in stato vegetativo, la famiglia della ragazza ha lottato per il diritto di scegliere come morire, lanciando anche appelli all’opinione pubblica e politica del Paese.  Una vicenda giudiziaria che, con il tempo, ha permesso la creazione della legge sul biotestamento. Ad oggi però c’è ancora molto da fare: «La legge è stato il primo passo, ora bisogna concretizzarla e permettere a tutti i cittadini di avere la libertà di conoscere e scegliere» dice Marco Cappato, leader associazione Luca Coscion, riferimento nazionale nella tutela della libertà civili.

A 10 anni dalla morte di Eluana Englaro abbiamo una legge sul biotestamento «ma è solo il primo passo»

La premessa per poter garantire la libertà di decidere, è avere la garanzia della libertà di discussione. L’informazione e la conoscenza sono alla base del cambiamento su un tema così delicato come quello dell’eutanasia e del biotestamento. «Casi come quello di Eluana Englaro, di Welby e del più recente DJ Fabo – spiega Marco Cappato a Giornalettismo – sono stati importanti per sensibilizzare l’opinione pubblica, ora bisogna andare avanti». Questo perché «con le loro storie, le persone di tutto il Paese sono riuscite a comprendere e riconoscersi nella sofferenza e nel bisogno di poter decidere come morire quando si soffre di una malattia terminale» continua Cappato. «È cambiato il modo di morire – continua – oggi la morte  è diventata un processo, e le storie come quelle di Eluana evidenziano con forza quanto sia necessario oggi avere la possibilità di poter scegliere come porre fine alla propria vita». Un’esigenza che è arrivata forte e chiara: «Lo dicono anche i sondaggi, gli italiani sono a favore della libertà di scelta individuale, ed è questo il vero grande cambiamento di questi ultimi 10 anni». Parlare di suicidio assistito in un paese come l’Italia è sicuramente un tema delicato, perché va a toccare anche il tema religioso ma «non si tratta più di uno scontro tra cattolici e laici. Bisogna distinguere tra la Chiesa come istituzione e la sensibilità religiosa: anche i credenti sostengono la libertà di scelta individuale» commenta Marco Cappato.

La nuova legge sul suicidio assistito: «Il governo se ne tenga fuori, il Parlamento deve essere libero di discutere»

L’ultimo caso giudiziario e di cronaca, che ha coinvolto direttamente anche Marco Cappato, è quello relativo alla morte di Fabiano Antoniani, conosciuto come Dj Fabo. La Corte Costituzionale ha sospeso la decisione, dando al Parlamento un anno di tempo per legiferare in materia e costruire una «appropriata disciplina» sul suicidio assistito. Mancano ancora 8 mesi, e secondo Cappato «l’unica cosa che il governo attuale deve fare è tenersene fuori». «Questo tema non deve essere strumentalizzato dai capi di partito, di coalizioni, di opposizione, o rischia di diventare un mezzo di ricatto o scambio» spiega a Giornalettismo Cappato. «Se ne tengano lontani. Il governo deve lasciare il Parlamento libero di discutere e confrontarsi, senza dover rispondere a logiche di fazioni o di partito», poiché «il risultato dipende solo dal metodo di discussione». «La conoscenza è il punto più importante» ribadisce Cappato, poiché ad oggi «non tutti hanno i mezzi e le possibilità di comprendere a fondo le proprie possibilità». Proprio su questo verte il contenuto dell’appello rivolto dall’Associazione Luca Coscioni, di cui Cappato è tesoriere, al ministro della Salute Giulia Grillo. «Abbiamo richiesto in primis la creazione del Registro Nazionale per il testamento biologico, ma sopratutto la creazione di una struttura e di una burocrazia di assistenza che permetta di trasformare in azioni concrete ciò che è stato raggiunto con la legge sul biotestamento: quello è stato il primo passo, ora bisogna fare un investimento sulla conoscenza perché la legge non rimanga solo sulla carta». Per conoscenza non si intende solo la sensibilizzazione dei cittadini, ma anche l’avviamento di percorsi formazione dedicati per le diverse professionalità con cui, chi decide di porre fine alla sua vita, entra in contatto. «È la persona a decidere, non il medico, ma è importante che anche a loro siano dati gli strumenti e le conoscenze per poter presentare ai pazienti le loro possibilità e accompagnarli nelle loro decisioni, qualsiasi esse siano» conclude Marco Cappato.

(credits immagine di copertina: Ansa/archiovio, ANSA/ANGELO CARCONI)

Share this article