Malta continua a fermare (senza motivo) la nave della Sea-Watch

02/08/2018 di Redazione

In un rapporto alle autorità maltesi, il governo olandese ha confermato la corretta registrazione della nave di SeaWatch. A dirlo, a Giornalettismo, è la stessa Ong. C’è un problema però. Nonostante il risultato positivo del report, Malta tiene bloccata in porto l’imbarcazione da un mese senza alcuna motivazione legittima e chiede ulteriori chiarimenti all’Olanda, senza specificare quali, sull’utilizzo della nave per il soccorso in mare.

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«Il fermo della nostra nave per indagini senza alcuna indicazione di irregolarità è stata una farsa fin dall’inizio. Ci viene tuttora impedito di lasciare il porto nonostante gli ispettori olandesi richiesti da Malta abbiano confermato l’accuratezza della nostra registrazione. Non si tratta chiaramente di pratiche burocratiche ma di
una campagna politica contro la flotta civile di soccorso in mare. Da oggi le autorità maltesi dovranno assumersi la piena responsabilità di ogni persona che avrebbe potuto essere salvata dalla Sea-Watch», afferma Johannes Bayer, presidente di Sea-Watch.

Alla Sea-Watch 3 è stato negato di lasciare il porto lo scorso 2 luglio quando Malta aveva avviato indagini contro il capitano di un’altra nave battente bandiera olandese, la M/S Lifeline, a causa di questioni tecniche relative all’immatricolazione.

La nave della ong è registrata come yacht a motore non commerciale (imbarcazioni da diporto), il governo olandese non prevede una specifica registrazione per le navi di ricerca e salvataggio.

«Questa è una punizione collettiva; come se il porto di Amburgo avesse fermato
tutte le navi container, solo perché una potrebbe o meno avere un problema con i suoi documenti», dice Bayer. «L’indagine dimostra che tutti i requisiti per l’iscrizione come nave da diporto nel registro di bandiera dei Paesi Bassi sono soddisfatti», è scritto nella lettera che il governo olandese ha inviato ai maltesi.

IL CASO ASSO28 E LA SITUAZIONE NEL MAR MEDITERRANEO

Intanto domani alla Camera si voterà sul decreto legge che dà in cessione altre 12 motovedette alla Guardia Costiera libica. E se i casi dei mercantili Sarost 5 e Asso 28 segnano gravi precedenti, circolano sempre meno informazioni sui soccorsi e sulla sorte delle persone bisognose di assistenza immediata. Ieri si è chiusa l’odissea dei naufraghi recuperati dalla Sarost 5 dopo 22 giorni in mare, di cui 17 a bordo del mercantile tunisino e 5 alla deriva su un barcone. Mentre non sono ancora rese note le dinamiche del caso Asso 28 che, sbarcando a Tripoli le persone soccorse in acque internazionali, a circa 60 miglia dalla Libia, potrebbe aver creato il primo grave respingimento collettivo nel Mediterraneo.

Lo scorso 30 luglio la nave mercantile battente bandiera italiana Asso 28, che opera a supporto di una piattaforma petrolifera ENI, ha soccorso 108 persone a nord di Sabratha. Terminate le operazioni di salvataggio in acque internazionali, sotto il coordinamento delle autorità libiche, Asso 28 ha ricondotto i naufraghi al porto di Tripoli.

Tripoli non è un porto considerato sicuro. E sembra che emergano, da questa vicenda, una serie di violazioni non da poco. C’è l’ipotesi di respingimento collettivo di migranti, vietato dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (articolo 33)

Non solo: la normativa sui salvataggi in mare prevede l’accesso a un porto sicuro. L’Italia ha firmato la Convenzione di Ginevra (non la Libia) e ha già una condanna della Corte Europea dei Diritti Umani per la pratica dei respingimenti collettivi, nel caso Hirsi Jamaa vs Italy conclusosi nel 2012 per un episodio avvenuto nel 2009.

Asso28 batte bandiera italiana. Pur non trattandosi di una nave militare, come nel caso citato qui sopra, si applicano tutte le leggi in vigore in Italia. Quindi la giurisdizione italiana, non libica.

Il 30 luglio circa 800 persone che hanno lasciato le coste libiche in fuga via mare si trovavano in netta difficoltà. L’assetto aereo Colibrì, operato dalla ONG Pilotes
Volontaires con il supporto dei volontari del progetto aereo Moonbird di Sea-Watch, ha avvistato almeno 5 natanti in difficoltà, mentre un controllo incrociato con le autorità libiche a Tripoli effettuato dal Liaison Officer di Moonbird Tamino Bohn ha confermato che almeno 560 persone siano state intercettate e riportate in Libia.
«Sea-Watch – nel suo ultimo comunicato – chiede di fare chiarezza quanto prima sull’accaduto e sulle effettive responsabilità di uno sbarco in territorio libico operato da una nave italiana, comportante serie conseguenze per persone vulnerabili ricondotte
all’inferno da cui sono scappate. Chiediamo l’evacuazione immediata delle persone soccorse in un posto sicuro. Il recente riconoscimento della zona di ricerca e soccorso (SAR) e del centro di coordinamento dei soccorsi libico nel sistema IMO (organizzazione Internazionale marittima) non presta alla Libia i requisiti per essere considerata un paese sicuro».

 

(La Sea-Watch 3 bloccata a Malta. Credit: Paul Lovis-Wagner / Sea-Watch)

 

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