Dopo la morte di Li Wenliang, il dissenso contro il governo cinese arriva anche sui social

07/02/2020 di Enzo Boldi

La morte di Li Wenliang ha lasciato il segno nel cuore e nella mente dei cittadini cinesi. Il giovane medico fu il primo a denunciare – parlandone apertamente in una chat con alcuni suoi amici che, poi, hanno diffuso la sua scoperta – l’esistenza di un nuovo strano virus molto simile alla polmonite. Si trattava, come la storia ha poi certificato, del Coronvirus che da Wuhan sta terrorizzando il mondo. Dopo una vicenda costellata di interrogatori e costrizioni governative per obbligare negare la veridicità di questa notizia, il medico è rimasto contagiato, fino a perdere la vita nella giornata di giovedì.

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Non lo consolerà, questo è ovvio, ma il suo personaggio e la sua storia sono diventate icone di una Cina che non vuole più esser messa a tacere dalle proprie istituzioni. Alla diffusione della notizia della morte di Li Wenliang, infatti, sui social cinesi – come Weibo (il più utilizzato in estremo Oriente) – in migliaia hanno iniziato a utilizzare sulle piattaforme web l’hashtag #speechfreedom: libertà di espressione del proprio pensiero. Quello che, di fatto, non è stato consentito al giovane medico contagiato a Wuhan.

La morte di Li Wenliang e le proteste sui social cinesi

Il motivo di questa mobilitazione social – la prima interna contro il governo di Pechino – ha una genesi ben precisa. Li Wenliang, dopo aver parlato con i suoi amici del Coronavirus, è stato interrogato ed obbligato (era poco prima dello scoppio dell’emergenza) a firmare un ‘mea culpa’ in cui era stato obbligato a dichiarare che tutto ciò che aveva detto erano fake news. Poi si ammalò anche lui, prima della conferma del contagio arrivata a inizio febbraio. Alla fine il triste epilogo.

La censura dell’hashtag #speechfreedom

Una storia che ha portato, inevitabilmente, alle proteste di decine di migliaia di cittadini cinesi sui social. Hanno chiesto lo stop alla censura governativa – almeno su temi delicati come la salute – e la libertà di espressione del pensiero. Peccato che, qualche ora dopo la mobilitazione web, l’hashtag #speechfreedom sia stato bloccato da Weibo.

(foto di copertina: da Twitter)

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