Gli studenti che non usano i dispositivi digitali per la scuola ottengono risultati di lettura migliori (almeno in Italia)

È il risultato dell'indagine Pirls 2021 e questo si verifica in ambito nazionale, in controtendenza rispetto a ciò che avviene, invece, in un contesto internazionale

17/05/2023 di Gianmichele Laino

La sensazione che spesso ci attanaglia, soprattutto in questo scarto generazionale, è quella legata all’utilizzo di dispositivi digitali che utilizziamo abitualmente per la lettura. Non parliamo soltanto di pc, tablet o smartphone che vengono ormai costantemente impiegati sia per lo svolgimento di normali pratiche burocratiche (che, tuttavia, necessitano di una attenta comprensione del testo), ma anche per la fruizione delle notizie sui principali siti e portali di news, nonché – ovviamente – per leggere post e commenti dei nostri amici (o degli influencer) sui maggiori social network. Parliamo anche degli e-reader, che sono dispositivi nati appositamente per la lettura di testi lunghi, come libri di narrativa, report, saggi. La sensazione in questione è quella di leggere un testo lungo che, tuttavia, ci resta molto meno impresso nella mente (con effetti conseguenti anche sulla sua comprensione più o meno approfondita) rispetto a un testo che, invece, era stato fissato sulla carta stampata. L’opinione comune, tra i lettori, è quella che un testo, su un supporto digitale, duri molto di meno nella testa del suo fruitore. Forse perché, essendo più facilmente accessibile, non si effettua quello sforzo che invece si compiva con i testi sulla carta stampata: se ce l’ho sempre a disposizione, a portata di click, non è necessario che io lo fissi bene nella mente.

LEGGI ANCHE > Mi Assumo, la piattaforma per l’orientamento a scuola che sfrutta gamification e giochi di ruolo

Lettura digitale, cosa emerge dal rapporto Pirls 2021

Il rapporto Pirls 2021 – che verrà approfondito in un successivo articolo del nostro numero monografico sulla lettura digitale – prova a dare una spiegazione statistica a quella che, fino a questo momento, era stata soltanto una sensazione appunto. Lo studio è stato presentato dalle ricercatrici Invalsi Margherita Emiletti e Laura Palmerio e dal presidente Roberto Ricci. Nelle sue pagine si evidenzia che gli studenti italiani leggono meglio – o conseguono risultati di lettura migliori – se non utilizzano gli strumenti di lettura digitali in ambito scolastico.

La scala dei punteggi è stata così distribuita rispetto a questo specifico dato statistico: il risultato di 548 è stato raggiunto, per la lettura e la comprensione del testo, da quegli studenti che hanno dichiarato di non aver mai utilizzato dispositivi digitali per la lettura a scuola; un punteggio più basso (531) è stato ottenuto da coloro che hanno dichiarato di aver usato i device per 30 minuti o meno tempo; un punteggio ancor più basso (523) è stato ottenuto da quegli studenti che, al contrario, sostenevano di avvalersi di dispositivi tecnologici per la lettura per un tempo superiore ai 30 minuti.

A differenza di altri indicatori sociali che hanno determinato diversità nei risultati ottenuti (come ad esempio il contesto familiare degli alunni appartenenti alle varie classi scolastiche esaminate), per l’utilizzo dei dispositivi digitali questa differenza tra gli utenti e i non utenti (quantomeno in ambito scolastico) sembra persistere per tutto il territorio nazionale.

Si tratta, tuttavia, di un risultato a sorpresa: a livello internazionale, infatti, gli studenti che hanno utilizzato i dispositivi digitali per la lettura in maniera moderata (per meno di 30 minuti) hanno ottenuto risultati di lettura decisamente migliori rispetto a quelli che non li utilizzano affatto. Occorre capire il perché di questo risultato in controtendenza: secondo lo studio, probabilmente, il tutto sarebbe imputabile al fatto che gli strumenti digitali, in Italia, siano utilizzati come “misure compensative per studenti con difficoltà d’apprendimento”. Ma questa singola spiegazione non basta: sarebbe riduttivo, infatti, immaginare che – nella scuola italiana 2.0 (che, tra l’altro, negli ultimi anni ha trovato uno sbocco necessario durante il periodo del lockdown, con la didattica a distanza e la didattica integrata a distanza) – gli strumenti digitali siano utilizzati solo dagli studenti con difficoltà di apprendimento.

È probabile, invece, che la causa vada ricercata altrove: nell’abitudine (o nella disabitudine) di lettura, nella qualità dei materiali digitali che vengono fruiti dagli studenti anche al di fuori dell’orario scolastico, nell’aggiornamento dei dispositivi elettronici utilizzati nelle scuole. Fatto sta che, al momento, il risultato migliore di lettura – in Italia – si ottiene grazie alle pagine del sussidiario o dell’antologia. Meno dalle slides o dalle lavagne elettroniche.

Share this article
TAGS