Ermal Meta è stato un po’ boomer sul leet speak (ma gli vogliamo bene lo stesso)

Piccolo qui pro quo sul suo utilizzo

18/03/2021 di Redazione

Prima un piccolo qui pro quo sul leet speak. Poi, un utilizzo sbagliato. Infine una piccola sbrodolata. Ma a Ermal Meta gli si vuole bene lo stesso, anche e soprattutto perché – tra tutte le persone note che utilizzano gli account social per comunicare con i propri fan – il cantante finito sul podio di Sanremo 2021 diffonde messaggi molto positivi, con un sentiment sempre molto partecipativo. Questa volta, però, cercando di coinvolgere al massimo la sua community su Twitter, è finito nel più classico degli effetti boomerang. O, meglio, degli effetti boomer.

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Ermal Meta e il leet speak

Nella giornata di ieri, il cantante ha scritto questo messaggio: «Raga ho scoperto l’hashtag 3rm4l m3t4 che sarebbe il mio nome scritto strano. Sto morendo dal ridere». Poi ha aggiunto: «Gesù, la gente non ha un “59” da fare». Qualcuno ha associato l’utilizzo di questo ultimo numero (che, in realtà riprendeva uno scherzo di cui era stato protagonista a Le Iene, dove aveva detto per ben 58 volte la parola “caz*o”) a uno scorretto utilizzo del leet speak, ovvero a quello che – usando parole di Ermal Meta – sarebbe «il suo nome scritto strano».

Successivamente, Ermal Meta è andato avanti sul leit motiv, producendosi in questo esercizio di stile:

Una frase che, evidentemente, non è piaciuta a molti e che lo ha fatto finire in una spirale di commenti non propriamente positivi (nonostante l’azione difensiva dei suoi fan che, su Twitter, sono davvero molto legati a lui).

Cos’è il leet speak

In ogni caso, è bene insistere un attimo sul leet speak. Il suo nome deriva dalla parola élite e serve, soprattutto su Twitter, a parlare di una persona evitando che quella stessa persona, magari facendo una ricerca per parola sul motore di ricerca interno del social network, possa risalire al tweet o al commento incriminato. Insomma, soltanto una élite potrebbe cogliere il messaggio in questione. Si tratta dell’applicazione moderna di un concetto che andava molto in voga nell’informatica degli anni Novanta, quando questo tipo di linguaggio veniva impiegato per dare dei nomi a file illegali, che non potevano – in questo modo – essere riconosciuti dai System Operator.

Il leet speak, poi, è stato utilizzato anche per diversi altri scopi (non ultimo quello della diffusione di messaggi semi-criptati) ed è stato oggetto di diverse deviazioni dal proprio impiego primario. Come, ad esempio, quello di rendere le password alfanumeriche più facilmente memorizzabili.

 

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