Il 17 agosto, quando le aziende potranno licenziare, a pagare saranno donne e giovani

Salvo diverse indicazioni il 17 agosto è la data in cui – secondo quanto stabilito finora – le aziende potranno licenziare i dipendenti nel post pandemia. Stando a un’indagine dell’Istat la situazione lavoro potrebbe essere davvero complessa, considerato che ben 1 azienda su 8 – pari al 12% – si dice pronta a ridurre il personale. Che il coronavirus abbia pesato e peserà sull’economia nostra, dell’Europa e del mondo intero lo abbiamo ormai capito bene. Ora occorre stabilire in quale misura e i numeri che arrivano dall’indagine Istat svolta a maggio e presentata con il rapporto annuale non sono buoni.

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A pagare il prezzo più alto sul lavoro saranno donne e giovani

Già messi ai margini del mercato lavorativo, donne e giovani sono le categorie meno tutelate che già hanno perso la possibilità di rinnovo dei contratti a termine che scadevano durante la pandemia. Se il problema del lavoro esplodesse a partire dal 17 agosto – come sembra attualmente che accadrà – saranno sempre loto, in quanto categorie meno tutelate, a pagarne il prezzo più alto. Le imprese hanno problemi nel «reperimento della liquidità» con «contraccolpi sugli investimenti, segnalati da una impresa su otto, rischiano di costituire un ulteriore freno ed è anche preoccupante che il 12% delle imprese sia propensa a ridurre l’input di lavoro», chiarisce Istat. Ad aprile, come emerge dal rapporto, i lavoratori in Cig – durante la settimana esaminata – erano quasi 3,5 milioni; nello stesso periodo un terzo degli occupati (circa 7,9 milioni) non ha lavorato e inoltre sono cresciuti i lavoratori in ferie.

Quanto servirà per tornare ai livelli pre-crisi?

Una tempistica certa non c’è ma l’Istituto ha parlato di «tempi piuttosto lunghi anche alla luce delle stime sugli effetti inter-settoriali delle misure di lockdown introdotte in Italia e all’estero». L’Istat ha reso noti anche alcuni numeri sullo smart working: stando ai dati, il lavoro da remoto potrebbe interessare 8,2 milioni di persone (il 35,7% degli occupati) scendendo a 7 se si escludono le professioni in cui – normalmente – si preferisce la presenza fisica (come i docenti, per intenderci). Lo smartworking potrebbe toccare maggiormente occupate rispetto a occupati (37,9% vs 33,4%), le persone che hanno oltre cinquat’anni rispetto ai giovani (37,6% vs 29,5%), la zona del centro-nord rispetto al sud (37% vs 28,8%) e – in massima misura – ben il 64,2% dei laureati, in particolare chi svolge professioni nell’informazione, nella comunicazione, nelle attività finanziarie e assicurative e nei servizi per le imprese.

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