La rabbia dei rider: “lavoratori essenziali”, ma senza diritti
Sono stati anche loro a sostenere l'economia italiana durante la pandemia, ottenendo poco o nulla. Hanno protestato per giorni per un accordo sindacale che ledeva diritti e salari; intanto arriva l'annuncio a sorpresa di JustEat e il ministero del Lavoro organizza una tavola rotonda
10/11/2020 di Daniele Tempera
Continuano ad attraversare le strade delle nostre città in queste notti di coprifuoco. Cubi colorati in spalla e bici: i rider sono stati una delle poche presenze visibili durante i mesi più duri della pandemia, in città che si scoprivano di nuovo silenziose e inquiete. Giorni in cui lavorare esponeva al rischio concreto del contagio e ristoranti, grande distribuzione, ma anche supermercati e pubbliche amministrazioni potevano contare solo su di loro. Una dinamica che ha contribuito a far cambiare un’intera narrazione: dalla retorica dei “lavoretti” si è capito che questi nuovi fattorini dell’era digitale svolgono un servizio essenziale per tutti. Un riconoscimento al quale non è seguito alcun miglioramento di condizioni di lavoro che rimangono critiche e che ricordano, al di là di algoritmi e app, dinamiche quasi pre-novecentesche.
«Con la pandemia è aumentato il valore sociale di questo lavoro, ma devono aumentare anche i salari e serve una tutela che dovremmo in realtà già avere per due ragioni. In primis perché la subordinazione è già prevista dal’articolo 2 del Jobs Act (per rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali e continuative anche se organizzate con piattaforme digitali n.d.r.); in secondo luogo perché lo afferma anche una sentenza della Corte di Cassazione, quindi la paga oraria è dovuta e deve essere in linea con i contratti esistenti e non da fame» ci spiega Angelo attivista dell’Associazione Deliverance Milano.
L’accordo capestro tra AssoDelivery e Ugl che peggiora le condizioni dei lavoratori
Già, perché se non è ancora arrivato un accordo collettivo nazionale, è arrivata la beffa di un accordo sindacale peggiorativo entrato in vigore lo scorso 3 novembre, contro il quale i rider si sono mobilitati da Nord a Sud. Firmato dall’Ugl e da AssoDelivery (l’associazione che tiene insieme le più grandi piattaforme di delivery), l’accordo è parso a molti – sindacati confederali compresi – un modo per frenare la contrattazione collettiva nazionale e scavalcare così i lavoratori proponendo un contratto capestro che tende a penalizzarli ulteriormente. Punto forte delle nuove disposizioni è la paga oraria di 10 euro lordi orari, una salario che si ottiene solo quando il tempo viene impiegato interamente nella consegna. A stabilirlo è la piattaforma che può riproporzionare la paga in base al lavoro “effettivamente prestato”, parliamo di fatto di una legalizzazione del cottimo. Nessun vincolo viene invece riconosciuto all’utilizzo di collaborazioni occasionali e partite Iva. Dinamiche che aumentano esponenzialmente la competizione tra i lavoratori. Nessun riconoscimento inoltre per mensilità aggiuntive, ferie, indennità di fine rapporto o altri istituti riconducibili al rapporto di lavoro subordinato. Dinamiche che hanno innescato una reazione palpabile da Sud a Nord della Penisola e fatto esplodere una protesta spontanea causata dall’abbassamento della paga oraria.
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«Abbiamo organizzato uno sciopero in cui siamo riusciti a coinvolgere città del Nord e del Sud, del Paese. Quello che ha fatto esplodere la protesta è stato l’abbassamento ulteriore del salario con l’applicazione del nuovo contratto, lo sapevamo da prima che entrasse in vigore del resto: è stato il segno che la misura era colma- spiega Angelo di Deliverance Milano – tralaltro questo accordo lascia fuori da ogni normativa il tema del cottimo e della competizione fra i lavoratori. Quello che vediamo quotidianamente è che il dumping sociale in questo campo è gigantesco, lavoratori stranieri non guadagnano come quelli italiani, lavoratori del Nord non guadagnano come quelli del Sud: questa cosa deve finire con un accordo nazionale». E questi “lavoratori essenziali”, a oggi, oltre a essere pagati a cottimo non hanno di fatto nessun minimo salariale orario e nessuna misura di protezione. Condizioni limite che non possono essere a lungo ignorate anche tra i palazzi romani.
L’annuncio a sorpresa di JustEat e il confronto con il ministero del Lavoro
L’appuntamento è per domani 11 novembre con il ministro del lavoro Nunzia Catalfo che ha convocato a un tavolo rider, sindacati e Assodelivery. Si parlerà dell’accordo contestato, ma anche di contratto nazionale di categoria anche alla luce di un annuncio della vigilia che ha spiazzato tutti. La multinazionale Justeat ha infatti annunciato di voler contrattualizzare, a partire dal 2021 tutti i suoi dipendenti, con paga oraria e le tutele previste per il lavoro subordinato.
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«È una buona notizia, lo fanno per ragioni commerciali, per posizionarsi differentemente come azienda, anche loro del resto hanno firmato con UGL- spiegano da Deliverance Milano – JustEat vuole configurarsi come azienda sana e adottare una policy più sostenibile nei confronti dei suoi lavoratori, ma ancora non conosciamo i contratti. Si è parlato di indeterminato e part-time, quindi dovrebbero essere contratti di subordinazione, ma bisogna vedere. Subordinazione significa tante cose: a quale contratto collettivo di riferimento facciamo riferimento? Ancora non lo sappiamo». Una certezza però sembra già esserci: «avere ottenuto un annuncio di questo tipo vuol dire che protestare serve e la lotta paga».