Parla Josefa, la sopravvissuta del naufragio: «Sono arrivati i libici e ci hanno picchiato»

Josefa, l’unica sopravvissuta del naufragio al largo delle coste della Libia avvenuto il 17 luglio scorso, è arrivata a Maiorca con i membri dell’equipaggio dell’Ong Proactiva Open Arms.

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Nonostante le condizioni di salute della donna non siano ancora ristabilite, le prime parole pronunciate riassumono bene uno squarcio di verità su una vicenda ancora poco chiara: “Sono arrivati i libici, ci hanno picchiato e ci hanno lasciato in mare“.

Nel frattempo i membri di Open Arms, dopo avere rifiutato lo sbarco in Italia dopo le dubbie dichiarazioni del governo sulla nuova policy intrapresa sui porti, hanno deciso di presentare una denuncia per omissione di soccorso e omicidio colposo contro il capitano della Triades, il mercantile che ha “ignorato” le vittime del naufragio, e promesso di fare lo stesso “contro il capitano del pattugliatore della Guardia costiera libica” che avrebbe distrutto il gommone con a bordo Josefa e almeno una donna e il suo bambino, morti in attesa dei soccorsi.

C’è anche l’intenzione di presentare una denuncia contro le Guardia costiera italiana e maltese per il reato di omissione del dovere di assistenza.

Il governo italiano ha immediatamente respinto le accuse al mittente. Il Viminale ha dichiarato che “denunceremo chi, con bugie e falsità, mette in dubbio l’opera di salvataggio e accoglienza svolta dall’Italia. Qualcuno strumentalizza una vittima per fini politici. Se la Ong ha preferito rifiutare l’approdo per scappare altrove è un problema suo. I porti siciliani erano aperti“.

Sulla vicenda è intervenuto il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, che ha insistito sul grande lato umanitario mostrato dal governo giallo-verde: “Open Arms sbaglia obiettivo. L’Italia è un esempio per umanità ed efficienza nei soccorsi“.

Anche la Marina italiana ha allontanato ogni tipo di coinvolgimento: “Non siamo mai stati coinvolti nel soccorso. Dopo il ritrovamento, all’Ong è stata data piena disponibilità a trasferire la donna, ancora in vita, in Italia, per ricevere assistenza sanitaria, è stata data anche la possibilità di raggiungere direttamente il porto di Catania“.

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