I finanziamenti per la banda larga in Italia e in Europa

Quanti soldi vengono investiti per migliorare le infrastrutture e la connessione in Italia? E quanti in Europa?

05/06/2023 di Redazione Giornalettismo

Quanti soldi e in quale modo l’Italia e l’Europa stanno investendo per il miglioramento della connessione a internet? Il tema dell’investimenti connessione è fondamentale per capire non solo i numeri ma anche gli obiettivi e le tempistiche che le istituzioni si sono date (e hanno dato) per raggiungere determinati traguardi.

Spesso e volentieri le connessioni a banda ultra larga vengono sovrastimata nella loro capacità di trasportare dati. Potenziare queste reti genera moltissimi costi e si discute molto su quale debba essere la fonte di questo denaro, includendo nel dibattito anche le Big Tech appunto. Vediamo, in questo articolo, quanti soldi vengono investiti dal nostro Paese e quanti dall’Unione europea per migliorare e gestire le infrastrutture di connettività.

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Investimenti connessione, cosa prevede l’Italia?

Esiste una pagina dedicata alla Strategia italiana per la Banda Ultra Larga che chiarisce e quantifica l’impegno del nostro Paese in tal senso. Lo scopo – come si legge – è quello di «portare la connettività a 1 Gbps su tutto il territorio nazionale entro il 2026 e favorire lo sviluppo di infrastrutture di telecomunicazione fisse e mobili, così come indicato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e in anticipo rispetto agli obiettivi europei fissati al 2030».

Si punta a «completare il Piano di copertura delle cosiddette aree bianche e il Piano Voucher con le misure di sostegno alla domanda di connettività» oltre che a agire con cinque nuovi piani di intervento a livello pubblico che possano «coprire le aree geografiche in cui l’offerta di infrastrutture e servizi digitali ad altissima velocità da parte degli operatori di mercato è assente o insufficiente». Sono sette gli interventi previsti in diverse aree: Piano “Italia a 1 Giga”; piano “Italia 5G”; piano “Scuole connesse”; piano “Sanità connessa”; piano “Isole minori”; completamento del piano “Aree bianche”; piano “Voucher a sostegno alla domanda”.

A livello di investimenti, il PNRR prevede il 27% delle risorse investite in ambito transizione digitale. Di questi, 6,7 miliardi di euro sono destinati a «progetti che costituiscono la presente Strategia per la Banda Ultra Larga, che si pone in continuità con la Strategia varata dal Governo nel 2015». Lo scopo è dotare cittadini, imprese e PA di una connessione veloce abbastanza «per i tanti servizi ormai divenuti parte della quotidianità, quali lo smart working, la teledidattica, la telemedicina, l’accesso a contenuti in streaming e on-demand, lo sviluppo delle attività di impresa». Si punta a rendere possibile per tutti anche l’utilizzo di ciò che sarà frutto diffuso dell’innovazione digitale («smart cities, Internet of Things, auto a guida autonoma, case intelligenti»).

E in Europa?

A elencare i principali strumenti di finanziamento della banda ultra larga a livello europeo, invece, è una pagina dedicata sul sito della Commissione Ue. C’è da considerare che l’Ue ha fatto da apripista nell’ambito del chiedere finanziamenti a Big Tech per la banda ultra larga, facendo sì che la tematica fosse affrontata anche negli Stati Uniti – lo scorso marzo – da un gruppo bipartisan di membri della camera alta del Congresso, portando alla proposta di legge Fair (“Funding affordable internet with reliable contributions”).

In Europa è stato proposto agli enti regolatori di valutare l’introduzione di un meccanismo di compensazione (Fair Contribution) da far pagare agli OTT per l’uso che fanno dell’infrastruttura di rete nella distribuzione dei contenuti multimediali agli abbonati. A livello europeo gli strumenti di finanziamento principali per i progetti di sviluppo della banda larga sono le risorse proprie, i finanziamenti basati sulle entrate, i prestiti, il capitale proprio e le sovvenzioni.

Rispetto alla proposta di chiedere a Big Tech contributi economici per il miglioramento della connessione, l’Europa – attualmente – è spaccata in due e la maggior parte dei Paesi non sono convinti di quello che è stato messo su piatto.Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Germania, Irlanda, Lituania, Malta e Paesi Bassi – infatti – hanno espresso diversi dubbi, attraverso le parole dei loro ministri, sulle possibili conseguenze del prelievo di denaro dalle grandi aziende Big Tech (prima tra tutte, il fatto che le aziende potrebbero far ricadere questo costo sugli utenti, aumentando i costi per fornire i loro servizi). L’Italia (insieme a Francia, Ungheria, Spagna, Cipro e Grecia) rientra, invece, tra i Paesi che guardano a questa ipotesi di partecipazione con ottimismo.

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