L’altra Ilva, viaggio nello stabilimento di Novi Ligure: «Vogliamo tornare a guardare al futuro»
06/11/2019 di Alessandra Delzotto
«Ho 53 anni, alla mia età non è facile trovare un nuovo lavoro. Ho una figlia adolescente, che sta studiando, e una moglie a carico. Tengo duro e speriamo che finisca tutto bene». Saverio è uno dei 681 operai che lavora all’ex Ilva di Novi Ligure, impianto che insieme a quello di Genova e Taranto costituisce il maggior complesso industriale per la lavorazione dell’acciaio in Europa.
Il calvario dei dipendenti dell’ex Ilva: dall’amministrazione straordinaria all’entrata in gioco di ArcelorMittal
In amministrazione straordinaria dal 2015, a partire dal 1° novembre 2018 il complesso dell’ormai ex Ilva è entrato a far parte ufficialmente del colosso ArcelorMittal nato nel 2006 dalla fusione della francese Arcelor con la lussemburghese Mittal Steel, attraverso AM Investco Italy, un consorzio partecipato per il 94,4% da ArcelorMittal e per il 5,6% da Intesa San Paolo.
Negli ultimi giorni il complesso è tornato al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica per la decisione dei vertici del gruppo francese di rescindere l’accordo siglato appena un anno fa per l’affitto con acquisizione dell’impresa che, oltre all’acciaieria di Taranto, possiede appunto anche l’insediamento di Novi Ligure. Quasi settecento operai oltre a tutto l’indotto: un bel colpo per il territorio, dove centinaia di famiglie dipendono dal funzionamento dell’impianto.
Il passo indietro di ArcelorMittal e la preoccupazione degli operai
La causa della decisione di ArcelorMittal è presto detta: la scelta del governo di eliminare la protezione legale necessaria per attuare il Piano ambientale di Taranto senza il rischio di responsabilità penale. Per Saverio e i suoi colleghi, che come lui vivono ormai da anni nell’incertezza del proprio futuro, la comunicazione dei vertici dell’azienda è stato un vero colpo.
Saverio, la decisione di chiudere la propria azienda e l’assunzione in Ilva
«Sono stato assunto in Ilva nel marzo del 2004 – racconta Saverio – Venivo da un altro lavoro, facevo l’artigiano. Poi ho dovuto chiudere la mia impresa, ho iniziato a mandare curriculum in giro tra cui anche a Ilva che ha tenuto conto della mia patente come autista di camion». Erano tempi buoni, ricorda. Poi dal 2011 inizia il calvario. «Taranto, l’inquinamento, l’amministrazione straordinaria – ricorda – Non mi fraintendente, io capisco benissimo le denuncia che sono state fatte: non si può morire per inquinamento e lavoro». Con l’entrata in gioco del gruppo francese, però, si sperava che il peggio fosse passato.
L’alluvione dello scorso ottobre e l’accordo con l’azienda
Certo, nel corso di quest’anno l’impianto di Novi Ligure ha dovuto affrontare non pochi problemi, come quelli provocati dall’alluvione che ha colpito l’alessandrino lo scorso ottobre e che ha provocato l’allagamento di parte dei locali dell’impianto. Ma la soluzione si era trovata. «Abbiamo sottoscritto un accordo con l’azienda che prevedeva la messa in cassa integrazione di circa 350 lavoratori fino alle ore 6 dell’11 di novembre» – spiega Salvatore Pafundi, segretario Fim-Cisl della provincia di Alessandria. «I lavori inerenti al ripristino della funzionalità dei settori danneggiati continuano naturalmente. La speranza che ci siamo detti al tavolo è che si possa ripartire prima della data concordata». Sempre che ArcelorMittal si convinca a tornare sui suoi passi, viene da dire a questo punto.
È forse l’ennesimo pasticcio politico italiano?
«È l’ennesimo capolavoro politico in questo Paese – afferma Pafundi commentando a caldo l’annuncio delle ultime ore – Ti lasci scappare un gruppo che ha investito nel nostro Paese 4,2 milioni di euro a livello industriale. La situazione ci lascia parecchio perplessi». Per Saverio tuttavia la scelta del governo di eliminare la protezione legale al gruppo è solo parte del problema. «ArcelorMittal ha scoperto che gestire un industria come l’ex Ilva è davvero difficile. La crisi nell’acciaio ci ha messo del suo, così come le sentenze dei giudici di Taranto», afferma. La speranza però è che qualcosa si muova.
«L’Ilva è una delle più grandi industrie della provincia di Alessandria e da da lavorare a molte persone sul territorio – sottolinea Saverio, che lancia un appello – All’azienda e al Governo dico solo una cosa: pensate alle oltre 10 mila persone che dipendono dal complesso. Dieci mila persone distribuite dal Nord al Sud dell’Italia».